lunedì 21 dicembre 2009

Regali



L'altra mattina ho aperto la porta, e ho trovato un pacco per terra fuori dalla soglia. Un pacco bello grosso.
Nel pacco c'erano dentro tanti pacchettini, ognuno con la sua carta colorata, il suo nastrino e il suo biglietto. Pieno così di pacchettini.
Quindi, questo post è per una persona. La persona che, andando in giro nella sua vita piena di impegni e casini mica da ridere e persone a cui badare, ha avuto per me, nel tempo, una quantità di pensieri: l'ho scoperto via via che aprivo i pacchettini, perché ognuno conteneva una cosa che mi era piaciuta quando eravamo insieme, di cui s'era parlato, che qua non si trova, che questa persona sa di me. E se lo è ricordato.
Io adesso vorrei che questa persona sapesse che questo regalo mi ha veramente stesa. Non sarei capace di fare una cosa così articolatamente carina. Forse una volta lo ero, ora non più. Ma mi ha fatto venire la voglia di tornare ad esserlo.
Queste gentili lucine colorate staranno ogni sera sulla mia tavola, mi terranno compagnia e mi faranno pensare a lei. Vabè, io ci penso già spesso, ma forse non lo avevo fatto sapere abbastanza.

mercoledì 16 dicembre 2009

Coniglio prezzolato

C'era chi si pagava i pasti in trattoria disegnando opere immortali sui tovaglioli. Chi accettava polli e uova in cambio dell'alzataccia notturna per far nascere un bambino. Uno aiutava il  vicino a spaccare legna, e in cambio riceveva del formaggio o un bel tocco di lardo. Anche il cane faceva la guardia alle pecore, per la sua ciotola di zuppa. Tempi civili.

E io?
Niente. Io niente. Io qua, derelitta e tapina, a mangiare freddo perché prima c'era da fare la foto. A spiattellarvi le mie disavventure gastroesistenziali e le mie patetiche intimità, sforzandomi come una bestia per infiocchettarle anche con una parvenza di humor, o almeno di brio, così ridevate e poi vi sentivate meglio, al confronto.
E non parliamo delle mirabolanti ricette che hanno innalzato vertiginosamente la qualità della vostra vita quotidiana, mentre io ingrassavo come un dugongo e poi mi toccavano mesi di nazidieta per espiare  - ne sono certa - anche i vostri peccati.

Ricevo da mesi lamentele, suppliche, appelli e pressioni al limite del minaccioso per ricominciare a sollazzarvi. Ma cosa credete, che lo faccia per la gloria? Pfui. La gloria non campa la famiglia, la mia vanità si soddisfa altrimenti e qua c'è una gattina che deve crescere, e mangia come un bove.
Basta! Pensavate, furbacchioni, di andare a scrocco per sempre? Che tanto il web è libero, e allora liberi tutti? Eh no, miei cari, troppo comodo. Io sono una creatura umorale e sensibile e ho bisogno di essere motivata e possibilmente anche vezzeggiata, se no mi deprimo e vi lascio a becco asciutto, come si è constatato in questi mesi.
Quindi, cominciate a pensare a cosa avete di buono in dispensa per compensare i miei prossimi servigi. Mi contento di poco. Due uova di vera gallina, un po' di insalata dell'orto, un mezzo coniglio ruspante, qualche acciuga salata, una bottiglia di Pouilly-Fumé, vedete un po' voi.

Inaugura lodevolmente questa nuova gestione un'offerta che mi sono guardata bene dal rifiutare: per scrivere questo post riceverò da un magnanimo lettore del fois gras di qualità sopraffina, e uno Champagne che se mantiene quello che promette mi aiuterà a onorare il capodanno come merita, e come mi merito.
Per i prossimi, aspetto proposte.


Rotolo di coniglio ai carciofi

Per 2 persone:

  • due/tre schiene di conglio disossate (circa 400 gr). Dove si trovano le schiene di coniglio disossate? Io le ho reperite alla Coop, voi magari avete un macellaio serio.
  • 5 carciofi
  • 60 gr di prosciutto crudo dolce
  • timo fresco
  • vino bianco
  • sale aromatico
Pulire spietatamente i carciofi e tagliarli in quarti, poi ogni quarto in tre: sbianchirli nel micro 3 minuti con due cucchiai d'acqua, o passarli in padella fino a metà cottura.
Spianare le schiene con il batticarne, metterle sul tagliere leggermente sovrapposte. Salare e pepare.

Disporre sopra la carne le fette di prosciutto e metà dei carciofi, aggiungere dei rametti di timo fresco. Arrotolare e legare con spago da cucina.

Riscaldare una teglia in forno a 200° con un velo d'olio. Aggiungere il rotolo. Far colorire girandolo ogni tanto (circa 20 minuti). Aggiungere il resto dei carciofi, altro timo, aggiustare di sale e aggiungere un dito di vino bianco secco, magari un bel vermentino ligure. Portare a cottura (altri 20 minuti).


(Ahimè la ricetta è very light per i gusti del committente - è un po' da signorine, lo so - ma questo mi sono inventata e questo gli tocca).

lunedì 21 settembre 2009

Assenze

Andiamo
Venite
Andiamo
Vuotiamo le tasche
e scompariamo.
Mancheremo a tutti gli appuntamenti
ci rifaremo vivi tra anni
con la barba lunga
vecchie cartine da sigarette
attaccate ai pantaloni
foglie nei capelli
Non ci preoccupiamo
più
dei pagamenti.
Che vengano pure
a prendersi
tutto ciò
per cui stavamo pagando.
E si prendano anche noi.

Questo blog sospende l'attività a tempo indeterminato.
Le ragioni che mi hanno portata a maturare questa decisione, che certamente getterà nello sconforto milioni di persone, sono tre. Ve le enumero.

La prima è che sono sempre più acutamente consapevole di non avere niente da dire. E chi se ne frega? direte voi: la maggior parte della comunicazione interplanetaria si regge sul non aver niente da dire e dirlo a gran voce, e nessuno si fa il problema. Ecco, io invece sì.

La seconda è che mi son rotta le scatole che le persone che conosco si facciano sentire sempre meno, e vedere quasi mai, perché "tanto ti leggo sul blog". Da questo momento alzate il telefono e chiedetemelo, come sto. Invitatemi a cena, a merenda, a un pic nic, a fare due chiacchiere, a ballare.
Questo argomento è per me particolarmente attuale ultimamente, e aprirebbe un discorso articolato sui cambiamenti nei rapporti interpersonali in epoca di social network. Discorso che non farò in questa sede. Ma i cambiamenti ci sono, e se i vantaggi sono molti, gli svantaggi sono troppi. È possibile che io prossimamente decida di sparire anche da FB e da ogni altro genere di community e piazza virtuale, e vedere cosa ne resta. Ma su questo devo ancora riflettere, temo che il risultato non mi piacerebbe.

La terza (molto accessoria) è che da tempo mi sta dando un po' fastidio che alcune persone in particolare siano costantemente e dettagliatamente aggiornate sugli affari miei. Per quanto parlare di mangiare sia teoricamente un argomento neutrale, e non a caso l'ho scelto come filo conduttore, questo è sempre stato un diario personale, mascherato - neanche tanto - da blog di cucina. Il vago fastidio ultimamente è aumentato fino a diventare disagio, e sentirmi scomoda in casa mia non mi piace.

Comunque: il blog resta qua, e probabilmente tra un po' mi verrà l'imprescindibile bisogno di comunicarvi la ricetta del pasticcio di formiche, quindi questo non è un addio ma un arrivederci. A lungo termine. Lunghissimo, temo. Se volete farmi un regalo in cambio dell'alto servizio che ho reso alla comunità, mettendo in piazza senza vergogna i miei dubbi e le mie faccende perché qualcuno potesse trovare conforto se provava le stesse cose che provavo io e si sentisse meno pirla e solo, lasciate un commento.
Dico a quelli che mi leggono sempre e non parlano mai. Mi piacerebbe sapere chi siete, visto che ci siete. Se c'è qualcosa che dalla mia tavola è passato alla vostra, e magari ci è rimasto, mi fa felice saperlo. Questa sì che è una forma di comunicazione che si materializza nella vita vera, trasferisce esperienze concrete a distanza, ed è una gran bella cosa. Questo sì che fa sentire meno soli.

Il quadro lassù è di Bruno Guaitamacchi.
I versi di Lawrence Ferlinghetti.

sabato 15 agosto 2009

Trionfi

Ristabilisco di botto la mia autostima culinaria con queste bellissime (e buonissime) spighe.
La ricetta l'avevo trovata qua e me l'ero segnata in attesa di una occasione speciale: queste cosine che richiedono un minimo di manualità mi divertono sempre molto. Poco lavoro, molto gioco e soddisfazione garantita. E poi c'è dentro lo strutto, che è santo. Quindi a modo mio santifico il Ferragosto.
Per stasera, incredibile ma vero, ho preparato una cena sobria e vegetariana. Questo, immagino, di rimbalzo dopo aver scritto una lettera polemica ad una mia amica che medita di convertirsi a una vita di verdura e privazioni. Il mio inconscio sorride divertito dello scherzetto che mi ha giocato.

giovedì 13 agosto 2009

Disastri

In questi giorni ho esercitato al meglio l'arte della distrazione, dell'approssimazione, del fancazzismo, della svogliatezza e del cattivo umore applicato. Risultato: una pasta e fagioli immangiabile; un finto pesce da buttar via e questo favoloso gelo di mellone, che è la summa di tutte le cattivezze, l'apoteosi dello squilibrio, il trionfo dell'errore. Resta da capire QUALE errore, in questo caso, a parte l'assenza di fiori di gelsomino, ma insomma. La ricetta sembrava corretta e l'esecuzione anche. Il risultato, come vedete, non conferma affatto le premesse. Aggiungo che a coronamento dello schifo sapeva di buccia di cetriolo, neanche tanto fresco. Puah!
Vi auguro un Ferragosto meno indecente del mio - a meno che io non riprenda di colpo le mie normali capacità di rendermi la vita accettabile tramite il mangiare.

lunedì 3 agosto 2009

Sudare dentro se stessi

Mi hanno prestato questo librino grazioso e divertente. Non viene voglia di cucinare nessunissima delle ricette totalitarie: devo dire che il cibo russo ivi descritto è veramente il meno appetibile del globo, e genera una profonda depressione papillare anche solo a immaginarlo. Però mi è piaciuto molto lo spirito dell'autore. A voi questo utile consiglio, di stretta attualità:
"L'Uzbekistan, una repubblica plurinazionale di venticinque milioni di abitanti di cui la maggior parte sono giovani uzbeki; con grandi fiumi che seccano costantemente; deserti giganteschi; montagne che gettano poca ombra; e con una quinta stagione, chiamata čilla: quaranta giorni d'estate in cui le temperature diurne arrivano spregiudicatamente fino a cinquanta o sessanta gradi. Il segreto per sopravvivere in questo caldo è «sudare dentro se stessi». Per farlo, la gente del posto indossa spessi cappotti di piumino e beve tè verde bollente. In questo modo i cappotti si bagnano all'interno e restano asciutti fuori. È così che gli uzbeki si riparano dal caldo esagerato."

giovedì 30 luglio 2009

Catering a sorpresa


Torna mia mamma da un lunghissimo ritiro su un'isola greca, e vorrei ammorbidirle l'atterraggio nella metropoli asfissiata da una calura torbida e malefica. Avrà voglia di cose fresche, leggere, civilizzate, dopo tutto questo tempo di cucina pesantuccia e ruspante.
Preparo: gazpacho sperimentale, involtini di carpaccio su misticanza, insalata di lenticchie al limone. Comprerò per la via un buonissimo gelato: non ho la gelatiera (e mai l'avrò, se no finisce male). Preparerò una bella tavola e sparirò nella notte, sperando per una volta di apparire come la brava figlia che non sono quasi mai.

Il gazpacho sperimentale in realtà si chiama "Quaranta Gradi all'Ombra", ed è una ricetta di Carlo. Non conosco Carlo personalmente ma ho saccheggiato spesso il suo ricettario, e mi piace molto come cucina. Mi è piaciuto molto anche questo esperimento. Fresco, vellutato, inusuale. La prossima volta credo che proverò ad usare il melone bianco, che ha un gusto per me più interessante. Il melone, che non amo particolarmente, in versione salata invece mi piace sempre.

Per due persone:
  • 200 gr. di polpa di melone maturo
  • un pomodoro ramato grande (da cui ricavare 100 gr. di polpa)
  • peperoncino in polvere
  • sale
  • 20 gr. d'olio d'oliva extra vergine
  • uno schizzo di Angostura
  • 1/2 avocado (100 gr. di polpa)
  • 1/2 lime
  • 1 cipollotto fresco
  • 1 costola di sedano bianco dal cuore
Mettere nel frullatore il melone a pezzetti e la polpa di pomodoro, aggiungere una presa di sale e una spruzzata di peperoncino in polvere, 20 gr. d'olio extra vergine d'oliva lasciato cadere a filo e una spruzzata d'Angostura. Frullare il composto per un minuto, in modo che monti un poco e poi conservarlo a parte.
Frullare separatamente l'avocado con il cipollotto e il succo di mezzo lime, unite il composto di pomodoro e melone e frullare ancora in modo che i due passati si mescolino perfettamente. Aggiustare di sale e lasciate riposare in frigo per un'oretta. Servire la crema nelle ciotoline di portata, distribuendo in ciascuna un po' del cuore di sedano tagliato a lamelle sottili e due fettine di avocado.

martedì 21 luglio 2009

Corona di farro estiva

Cucinare, in questo periodo, proprio non mi va. Faccio il pane per me, e il nasello per la gatta che ne va pazza. Per il resto salame e qualche insalata come questa di becchime che vi propongo, perché è fresca, completa e aprire il frigo e trovarcela già pronta dentro fa piacere. Certo, prima ve la dovete preparare, ma io lo faccio al mattino e poi faccio finta di trovarla come per miracolo all'ora di cena. Sto delirando, scusate.

Piccola conversazione con il cassiere del supermercato, che sarebbe piaciuta ad Aldo Buzzi, il quale però ovviamente ne avrebbe fatto un capolavoro.
Metto sul nastro un nasello intero surgelato.
- Eh, in effetti il nasello ha il miglior rapporto qualità/prezzo.
- Sì, e poi questo surgelato è davvero conveniente.
- Se lo fa con il sugo pronto, quello della Mutti, viene una favola
- Sugo pronto? Aaah, il concentrato, intende.
- Sì, sì, quello nel tubetto.

Intanto appoggio due fette di filetto, offerta speciale al 40% ma pur sempre filetto

- Però il nasello a dire la verità è per il gatto.
- Viene una favola, guardi. Proprio come al ristorante.
  • 200 gr di farro
  • 100 gr di feta o quartirolo
  • una scatola da 180 gr di tonno al naturale (trancio)
  • mezzo peperone giallo
  • mezzo cetriolo
  • due coste di sedano bianco
  • due o tre pomodori ramati
  • un limone
  • una dozzina di olive nere
  • basilico
  • sale, olio extravergine
Lessare il farro e quando è tiepido condirlo con un filo d'olio e il succo del limone. Spellare i pomodori, privarli dei semi e farne una concassé minuta (pezzettini di mezzo centimetro). Tagliare le altre verdure di uguali dimensioni, idem per il formaggio. Snocciolare e sminuzzare le olive. A dirlo è niente, ma ci si mette una mezz'ora buona.
Aggiungere il tonno, il basilico, condire con olio e sale, e mescolare con il farro.
Ungere uno stampo da circa 20 cm di diametro, pressare bene il composto e metterlo in frigo almeno un paio d'ore.
Non aspettatevi che restino le fette: quando lo servite si sbriciolerà, e rivelerà la sua misera natura di insalata. Ma intanto è carino da portare in tavola.

sabato 18 luglio 2009

Amori difficili


Avrei un sacco di ricettine adatte al clima estivo che avevo messo via in altri momenti, ma in questo periodo non sto cucinando per niente e la mia regola è che qua pubblico solo quello che metto in tavola, nel momento in cui ce lo metto. In conseguenza, ora dovrei pubblicare la foto di un menhir di Parmigiano Reggiano, una rupe che mi hanno portato da Modena e che costituisce la mia principale fonte di sostentamento insieme al pane che mi faccio settimanalmente. Non mi pare il caso.

Quindi vi intratterrò con la mia vita sentimentale.

La mia vita sentimentale passata potrebbe essere argomento di un appassionante feuilleton in seicentoquindicimila puntate, dal titolo "Gli amori difficili", che vi terrebbe inchiodati qua a sospirare fino alla fine dei vostri giorni. Ma poiché amo la sintesi, la riassumerei così: non è andata bene.
Preso atto di questa sgradevole realtà, e della deplorevolmente scarsa qualità del materiale umano maschile reperibile nell'universo e dintorni, a un certo punto ho smesso di sperare in un miglioramento e mi sono prepensionata.
Però insomma, per essere una single felice ci devi essere portata, ed io non lo sono.
Almeno un gatto con cui scambiare delle effusioni e due chiacchiere a tavola e prima di addormentarmi, mi è proprio indispensabile. Infatti c'era con me la Paloma, che per 17 anni è stata la mia compagna mentre i fidanzati in prova andavano e venivano - soprattutto andavano, direi -, e con lei l'amore non è stato facile all'inizio: era una gattina timidissima e introversa, si è infilata subito Sotto il Letto e mi ha obbligata ad aspettare per mesi prima di decidersi a uscirne e a iniziare la nostra vita di coppia. Con lei, ogni passo verso l'amore è stato una conquista fatta di pazienza, corteggiamento delicato e rispettoso, ritirate strategiche, piccole concessioni, titubanze, aggiustamenti. Ma poi, quando ci siamo arrivate, è diventata la gatta della mia vita (qua potete commuovervi).
Quando è morta ho aspettato un bel pezzo prima di riuscire ad accettare l'idea di un altro gatto, ma poi ho incontrato la Emma, che era meravigliosa. Con lei l'amore è stato facile e appassionato fin da subito: mi ha voluto bene senza troppe manfrine, non era una persona sofisticata ma amava coccolarmi e farsi coccolare, dormiva felice e rilassata su ogni parte del mio corpo e aveva tutto quello che mi piace in un gatto. Sotto il Letto ci è andata solo per qualche pisolo estemporaneo. Infatti è durata solo pochi mesi, prima che Qualcuno decidesse che doveva morire di una malattia orrenda e lasciarmi sola (qua potete piangere).

Un mese fa, è piombata nella mia vita questa gattina, che finora ha avuto svariati nomi ma nessuno definitivo, dato che il suo vero nome dovrebbe essere Castigo, e non mi pare bello. È apparsa in una foto, ed era bella, ma talmente bella che anche se le circostanze lo sconsigliavano decisamente, me ne sono innamorata. Quando l'ho conosciuta fisicamente mi hanno messo in braccio questa felina piumosa e minuscola che si è ribaltata sulla schiena, ha fatto le fusa e in tre minuti si era addormentata. Dopo quella importante verifica non ho avuto esitazioni, e l'ho presa con me.
I guai sono iniziati subito. Ma insomma, è soltanto una gattina piccola che è stata appena separata dalla sua mamma, penso io, diamole il tempo di fidarsi. Seh. Fidarsi lei si fida, e non ha paura di niente. Semplicemente, non le piacciono un sacco di cose. Non le piaccio io, non le piace casa di mia mamma, non le piacciono le mie scarpe (infatti ci piscia sopra), non le piace la pappa, non le piace casa mia (infatti ci fa la cacca a scopo intimidatorio), non le piace essere accarezzata. Non le piace stare con me. Ovviamente ha preso possesso del territorio Sotto il Letto, e da lì pretende di comandarmi. Se vuole qualcosa, se lo prende senza ringraziare, o altrimenti protesta facendo danni, ma non mi spiega mai cosa vuole, devo indovinare e non indovino mai. Però non è feroce, è molto socievole con le persone, è serena, gioca con tutti e dorme nel mio letto. Non ha problemi di carattere, non è una gattina "difficile", non è spaventata né aggressiva. Solo, c'è qualcosa che non va nella sua vita con me: non mi ha riconosciuta come parente, ecco. E questo mi sta rendendo molto infelice.
Dov'è finito il batuffolo di cui mi sono innamorata? Cos'ho fatto di male per essere trattata così? Ho provato a confrontarmi sul piano della dominanza, e ho perso. Ho provato con la dolcezza, che è tuttora la mia linea di condotta, ma lei se ne fa un baffo. Ho provato con il dialogo, ma non mi capisce quando le parlo, e comunque se ne frega. Ho letto tutti i trattati di comportamentalismo felino a disposizione e ragionato con amici e veterinario, e non ho cavato un ragno dal buco se non che certi gatti sono fatti così, punto.
In preda a una crescente frustrazione, ho parlato con la persona che me l'aveva data, e finalmente ho capito una cosa fondamentale, che mi era stata taciuta: la gattina è cresciuta in giardino, con la sua mamma e i suoi fratelli, in assenza di umani se non in quanto erogatori di pappa. Questa è stata l'informazione che mi ha illuminata: a lei, semplicemente, non basta la vita che fa qua. Lei è una che vuole andarsene in giro a vedere il mondo, prima di tornare a pisolare sul divano. Non ha niente contro gli umani, anzi: le servono e prende quello che le danno, ed è disposta a una moderata intimità. Non è, e non sarà mai, solo una gatta da divano.

Io, lo sapete, ho questa convinzione che noi siamo al servizio dei gatti, e nulla mi farebbe più felice che essere al servizio suo, però il mio spirito di sacrificio non arriva al masochismo sentimentale. Per quello ho già dato con gli umani, e ne ho piene le tasche.
Quando amo, ho questa stravagante, egoistica necessità di essere ricambiata. Se no non ci riesco proprio ad essere felice, e il servizio diventa un peso.
Quindi, poiché io tutto posso darle ma non un giardino e una vita avventurosa, questa gattina forse deve trovare un'altra casa, un'altra persona e un'altra vita che siano più adatti a lei. Ed io devo trovare un gatto che sia adatto a me, alla mia casa e alla mia vita.
Mi rifiuto di vivere da separata in casa in contemplazione di una gatta bellissima che non mi ama, per i prossimi vent'anni. Gli amori difficili non fanno più per me.

Ecco: qua potete anche indignarvi.

martedì 7 luglio 2009

i Miscati

Avevo promesso i Miscati. E sia. Poi peggio per voi, io vi avevo avvertito. La dipendenza da miscati infatti è subdola e si installa nell'organismo senza dare segnali preoccupanti, finché un giorno vi trovate con sei chili in più e il surgelatore pieno di salsiccia perché l'idea di non averne in caso di crisi di astinenza è diventata intollerabile. E non esistono gruppi di self help dedicati, sappiatelo. Esiste però una Confraternita, una setta fondata da tale Nonna Maria che conta ormai innumerevoli adepti, che praticano segretamente la miscatologia e la diffondono negli angoli più reconditi del globo. Da oggi in poi usciamo allo scoperto, e ne sento tutto l'onore e la responsabilità.


Miscati di Nonna Maria
  • 500 g di farina O
  • mezzo bicchiere d'olio d'oliva extra vergine
  • un cubetto di lievito di birra
  • un cucchiaino da tè di sale fino
  • acqua tiepida q.b.
  • 300 salsiccia luganega
  • parmigiano reggiano grattugiato
Spellare la luganega e impastarla con un po' di parmigiano grattugiato, lasciar riposare il composto.
Intanto mescolare la farina con il sale, sciogliere il lievito in un po' di acqua tiepida, aggiungerlo alla farina, aggiungere anche l'olio e impastare aggiungendo acqua fino ad avere un impasto morbido ma che non si attacca alla spianatoia. Dividere la pasta in porzioni, stendere ciascun pezzo in una striscia di circa 10 x 60 cm. Ungerlo, e distribuire tante palline dell'impasto di salsiccia; spolverare con il parmigiano, arrotolare la striscia su se stessa nel senso della lunghezza e dividere in pezzi lunghi circa 25/30 cm.

Arrotolare ogni salsicciotto a spirale e metterlo sulla teglia ricoperta di carta da forno.

Ungere i panini in superficie con un po' d'olio e cuocere a 220° circa per 20-25 minuti finché non saranno coloriti.
I miei della foto sono orribili, ma erano i primi della mia vita e non mi azzardo a rifarli, troppo pericoloso.
Sì: mi chiamo Esmé e sono miscatidipendente. Con oggi, sono pulita da 36 giorni.

giovedì 18 giugno 2009

Ricominciamo

Uno dice: ma se non hai intenzione di prendere un gattino, cosa ci fai nottetempo in giro per siti di annunci di animali? Ottima domanda. Ci faccio che ognuno ha le sue forme di pornografia. Io, prima di mettermi a nanna, invece che sfogliare calendari di calciatori nerboruti, ogni tanto mi sollazzo così. Vado a vedere foto di gattini. Poi mi sento meglio, cosa volete che vi dica.
Questa però è stata una frecciata al cuore. Un colpo bassissimo, dato che la Emma se n'è andata da poco, e io avevo deciso fermamente di mettermi in cerca di un altro micio solo dopo l'estate. Il buonsenso dice così, no?
Già.
Ho chiuso il computer dicendo naaah, scherziamo. Ho dormito malissimo. La mattina ho messo giù il telefono tre volte ma alla quarta ho chiamato, sperando che l'avessero già data via. Non l'avevano già data via. Ho preso la metro e sono andata a vederla. E mentre lo facevo, mi davo dei pugni in testa per essere così carente di buonsenso, almeno rispetto alle faccende feline. Ma procedevo, spinta da qualcosa di più forte di tutto il resto.
Così, adesso, sono qua con questa nuova gattina.
È chiaramente una che mi darà del filo da torcere. Ha già cominciato.
Ma se le cose vanno così, è perché devono andare così, certe volte.

Prego solo che sia sana, e chi di voi ha seguito la storia della Emma, per favore preghi con me.

giovedì 4 giugno 2009

compiti delle vacanze


Lista delle cose che ho mangiato in questi giorni e non avrei potuto nemmeno guardare da vicino:
  • miscati*
  • prosecco (a stomaco vuoto)
  • salame di Cremona
  • salame brianzolo (credo di Montevecchia)
  • salame toscano
  • coppa
  • tarallini al finocchio
  • rosticciana alla brace
  • salsiccia alla brace
  • altro prosecco (a stomaco pieno, però in smodate quantità)
  • vinsanto e cantucci
  • spumante italiano
  • vino bianco generico da tavola
  • olive sott'olio
  • olive piccanti
  • olive al forno
  • frittata di cipollotti
  • pane fatto in casa e pecorino toscano, con un giro d'olio sopra (alle tre di notte)
  • zucchine, topolini di salvia con l'acciuga in mezzo, melanzane, calamaretti, gamberi, tutto impastellato e fritto (salvo i gamberi che erano nudi, e le melanzane che erano impanate)
  • risotto allo zafferano
  • mozzarella
  • pasta al ragù, scotta, fredda e schifosa, ma al circolo arci di sant'Anna c'era solo quella e bisognava sostentarsi per ballare tutta la notte
  • gelatino industriale, ebbene sì (minicono alla vaniglia)

Cose che avrei dovuto mangiare ogni giorno, e che ho schifato recisamente:
  • insalata verde con molti cetrioli, poco pomodoro e niente cipolla
  • fettina di manzo in padella
  • zucchine grigliate

Ora, sono un po' in difficoltà con la foto. Che ci metto?
Ho deciso per questa questa, emblematica, del valoroso chef alla postazione wok in esterna per il fritto. Così, per dare un'idea dello stile.

* poi vi spiego cosa sono. E quando li farete, sarete persi.

domenica 24 maggio 2009

Delizie turche


Nel mio patetico tentativo di perdere l'interesse per il cibo, è evidente che ci va di mezzo il blog. D'altra parte la rieducazione all'austerità passa necessariamente attraverso l'azzeramento non solo della pratica, ma anche dell'immaginazione. Bisogna semplicemente abolire l'argomento dal proprio sé. Funziona? No. Per il momento sono più che mai bracchetto ansioso, con la ciotola in bocca. Ma tengo duro.
Quindi ho perso il filo del racconto. E per adesso, è meglio che non lo riprenda.
Però vedo che voi qua ci venite ancora, fedelissimi, e mi commuovo per quei numerini del counter che immagino entrare ogni giorno speranzosi, e andarsene delusi.
A loro, lascio in eredità questi salatini che ho trovato deliziosi, e sono piaciuti tanto anche ai miei ospiti. Sono rapidi da fare ma lussuriosi, friabili, saporiti e grassocci, perfetti per un calice di prosecco: fatene tanti e cercate di farli piccini, che sono più carini. Fanno parte della collezione di ricette di Madama Lokum, che da Istanbul mi fornisce squisitezze che regolarmente entrano dritte nel mio repertorio di casa, come spesso le ricette orientali, che incontrano spontaneamente il mio gusto. Sarò stata una sultanessa, in qualche vita precedente?
Pogaca

per l'impasto:
  • 125 gr di burro
  • 1 tazzina da caffè di olio di semi
  • 1/2 bicchiere di yogurt
  • farina 00 (circa 300/ 350 gr)
  • 1 cucchiaino di lievito istantaneo
per il ripieno:
  • 200 gr formaggio feta mischiato a prezzemolo tritato
  • pepe bianco
per rifinire:
  • 1 uovo intero leggermente sbattuto
  • semi di sesamo bianchi e neri, oppure cumino, o papavero
La quantità di farina non è specificata nella ricetta perché si mette ad occhio, anzi a tatto: la pasta deve avere "la consistenza del lobo dell'orecchio" (pare che questa sia l'indicazione per la maggior parte degli impasti in Turchia: e la trovo molto efficace, oltre che sexy). Per le quantità sopra indicate degli altri ingredienti, a me ce ne sono voluti circa 300 grammi. Io ho anche barato sul burro e sull'olio: ho diminuito il burro a 80 gr e l'olio a 4 cucchiai e andava benissimo, anzi l'impasto mi è sembrato quasi troppo grasso. Quasi, perché grasso e friabile dev'essere, non è certo una ricetta ascetica, questa.

Impastare velocemente tutti ingredienti, dividere in tante palline poco più grandi di una noce e schiacciarle con il palmo della mano fino ad ottenere uno spessore di circa 3 mm. Mettere al centro un poco del formaggio lavorato con la forchetta insieme al prezzemolo e leggermente pepato, richiudere formando delle piccole mezzelune che andranno messe sulla placca del forno, spennellate di uovo e cosparse con i semini scelti. Io ho usato cumino e sesamo nero.
Si infornano a 170° circa per 15-20 minuti.
La foto è quella che è, ma ero in mezzo a una grande cucinata e l'ultimo dei miei pensieri era curare il layout.

mercoledì 13 maggio 2009

Count down -2 (la tentazione)

Rimettere le mani oggi pomeriggio, dopo queste ultime cinque settimane di galera, in qualcosa che riconosco come cibo è stato magnifico. E insieme difficile. Ormai il cibo (questo, non quella roba - sana e gustosa, sì, come no, certo, ci siamo capiti - che ho dovuto e dovrò continuare a mangiare per non tornare balena) mi fa PAURA. Ora che sono, per la seconda volta in questi cinque anni, tornata ad assumere la mia forma naturale con davvero grandi sacrifici, mi tocca fare i conti con delle scelte. Taralli sì: gioia immediata e sconforto postumo, o taralli no: rinuncia immediata e gioia postuma. The same, old story.
Ovviamente la risposta dovrebbe essere taralli sì, ma con estrema misura, e ragionando bene su cosa ci mangio insieme, eccetera. Il che costituisce, per la mia natura, quasi peggio che privarmene. Non ce l'ho, il senso della misura. O meglio, ce l'ho: è la sazietà. Non solo quella dello stomaco pieno, ma quella del desiderio appagato. La quale, se gli do retta, mi porta inesorabilmente verso la balenitudine.
Mi sono accostata quindi alla tarallificazione e alla cantuccificazione con un atteggiamento di chirurgico distacco: li ho fatti, e non li ho neanche assaggiati. Alla vista sono un po' troppo biscottati, ma non lo saprò fino a sabato. Stasera carne ai ferri e verdura, e pedalare.
Inutile dire che convivere con l'adorato Nemico per i prossimi due giorni sarà una discreta prova di carattere.

lunedì 11 maggio 2009

count down -5

Si scaldano i motori. Si riattivano e rinfrescano i sourdough mummificati e disidratati l'anno scorso, si ripassano ricette, si stilano liste della spesa. Tanto poi è tutto lì, no? Immaginare, vagheggiare, preparare. Poi alla fine sarà solo un aperitivo. Dddio, che parola benedetta: A-P-E-R-I-T-I-V-O. Una delle invenzioni più alte del mondo civilizzato.
Ma so che, comunque, né ora né forse mai, neanche nei miei sogni più perversi, potrò più avventurarmi in questo territorio qua, dove quindi spedisco voi peccatori a godere dei piaceri proibiti.

mercoledì 6 maggio 2009

Count down

Dieci giorni. Ancora dieci giorni. Ce la posso fare.

domenica 26 aprile 2009

Polpettomania: le polpette di mio fratello

Da Ora di cena

È un vizio di famiglia.
Mio fratello mi scrive:
"Oggi, dato il malotempo, mi faccio casalinga e mi impiegherò nella produzione industriale di polpette.
Sono uscito a fare la spesa sotto un tempestoso e scrosciante temporale. Ho comprato quintali di carne, prosciutti, uova, prezzemolo, parmigiano e chi più ne ha più ne metta.
Pane raffermo a volontà affogato nel latte.
Ad una stima approssimativa credo che saremo sui 4/5 Kili di roba.
Calcolando a spanne una trentina di grammi ciascuna, potrebbero sortire: 5 Kg : 30 cad. = 160 deliziosi bocconcini di polpettosa libidine!
Roba da far scoppiare anche il congelatore (e il fegato) più collaudati.
Quindi niente pennichella, grembiule da combattimento, radiolona giga, un paio di birre e via sulla spianata di Carrara (marmo di - n.d.r.) a tirar polpette su polpette.
Iddio solo sa quanto mi ci vorrebbe una bella moldava a darmi una mano...!"

Segno dei tempi: anche mio fratello si è dovuto piegare alla cottura in forno. Noto con malignità da primogenita che anche per lui gli anni passano, e bisogna stare attentini alla linea...

NB Per la precisione, le polpette erano 87, più il polpettone di recupero.
Le ho contate con occhio libidinoso, dal penoso limbo dietetico in cui giaccio e giacerò ancora per due settimane abbondanti; e nell'afflato di desiderio gli ho anche dato un nome ciascuna, per riconoscerle quando mi verranno a trovare in sogno. Spero sia stanotte, e spero sia uno di quei sogni che sembrano veri.

lunedì 20 aprile 2009

Emma


Venerdì mattina è morta la gatta Emma. Ero preparata, per quanto ci si possa preparare: ha iniziato a stare poco bene già in dicembre, ho saputo allora che non aveva possibilità di cavarsela. Per fortuna ha sofferto un po' solo nell'ultima settimana.
Ha vissuto poco più di dieci mesi, cinque in una gabbia al gattile e cinque e mezzo con me.
Della vita e del mondo, quindi, ha visto proprio poco. Però il poco tempo che ha passato con me è stato pieno di cose buone, per tutte e due. Ha avuto tutti i vizi possibili, e ha goduto dei piaceri fatti di niente di una cucciola. Ho potuto darle una fine quasi decente. Mi ha onorata della sua confidenza e ha approfittato di me come è giusto che sia. Si è padroni di un cane, ma si è al servizio di un gatto. È così.
Ora forse so cos'ho riconosciuto in lei che mi ha toccata tanto profondamente quando l'ho presa in braccio la prima volta: aveva bisogno di me. Era una creatura segnata: io ho visto solo la sua bellezza, in quel momento, ma il mio istinto evidentemente ne sapeva di più.
La sua presenza, nonostante la tristezza e la rabbia di saperla solo di passaggio nella mia vita, è stata una gioia. E anche un insegnamento, perché ho fatto l'esperienza di come si fa a vivere la gioia un giorno alla volta anche quando si sa che non ce ne saranno molti. Non pensavo.

domenica 12 aprile 2009

maracas

A dieta sì, ma con ritmo.
Per consolarmi della Pasqua di astinenza assoluta, ho avuto in regalo un uovo molto speciale.
Uno, dos, cha cha cha... uno, dos, cha cha cha... uno, dos, cha cha cha (a sfumare)

sabato 28 marzo 2009

Polpettomania: Köttbullar di fine inverno

Ho le braccia indolenzite, la schiena a fisarmonica, le mani scorticate come una megera, i capelli brinati di stucco, e non ho neanche cominciato a imbiancare. Lavorare da sola è davvero faticoso, forse avevo sopravvalutato le mie forze. Però è sparito un pezzo di muro, uno scaffale alto e sporco è diventato un mobile basso e riverniciato a nuovo, e sto buttano fuoribordo sacchi di zavorra accumulata in un ventennio, con la massima soddisfazione. Potessi fare lo stesso anche con la zavorra invisibile... una rivergination interiore ci vorrebbe, altroché. Con particolare riguardo alla partizione dell'hd che ospita l'area emotiva/affettiva.
Comunque: per non farvi sentire troppo trascurati, vi sparo una delle cartucce che avevo in serbo da quest'inverno, e ancora adatta al tempo piovoso e freddino. La saga delle polpette continua.
Queste sono svedesi le ho rubate a Sylakka, e non ho cambiato proprio niente. Quando scrive una ricetta lei, si fa così e basta. Quasi vincono il mio personale Oscar per le polpette in umido: squisite.

Köttbullar (polpettine svedesi)

Ingredienti per 4 porzioni
  • 500 grammi di carne trita mista: manzo e maiale, non troppo magro, o salsiccia tipo luganega, non aromatizzata
  • 1 cipolla piccola
  • un'idea d'aglio
  • 100 grammi circa di pangrattato
  • 1 uovo
  • 2 dl circa di latte
  • 100 grammi di parmigiano grattugiato
  • sale
  • spezie: 1 bustina di zafferano, 1 pizzico di cannella, 1 bella grattata di noce moscata, un pizzico di pepe bianco
  • farina q.b. a infarinare le polpettine
  • burro e olio
  • un po' di vino bianco per sfumare
In un contenitore capiente unire tutti gli ingredienti: la carne, la cipolla tritata finissima o meglio ancora grattugiata, lo spicchietto d'aglio spremuto, il formaggio, l'uovo intero, il pangrattato, e le spezie. Unire tanto latte quanto basta a farne una massa lavorabile e appallottolabile facilmente.
Eventualmente aiutarsi tenendo le mani bagnate di acqua fredda, per evitare di appiccicarsi troppo. Fare delle palline piuttosto piccole e poi passarle nella farina.
Scaldare in una padella capace un bel po' di olio e burro, che serviranno anche come base per la salsina di accompagnamento (dunque non bisogna essere troppo parchi!).
Quando i grassi sono ben caldi, cuocere le polpettine rigirandole perché non attacchino. Si devono cuocere bene, facendo la crostina, a fuoco medio-alto.
Verso la fine della cottura bagnarle con un po' di vino bianco. Lasciar evaporare e terminare la cottura. Togliere le polpettine dalla padella e metterle da parte.
In padella, col sughetto rimanente, preparare la salsa.

Gräddsås (salsa per Köttbullar)

Per fare la salsa si utilizza la stessa padella in cui avete cotto le polpettine, usando come base il fondo di cottura rimasto, dopo aver tolto eventuali briciole di carne.
Se il sughetto vi sembra scarso, aggiungete un po' di burro e fatelo fondere dolcemente.
Aggiungete a poco a poco tanta farina da formare una pastella piuttosto densa, continuando a mescolare con un cucchiaio di legno per non formare grumi.
Cuocere a fuoco dolce, fino a che non prenderà un bel color biscotto (non deve scurirsi troppo però...). Aggiungere del brodo per stemperare e portare a bollore mescolando. Continuare fino a che si addenserà fino alla consistenza voluta.
Rimettere le polpettine nella salsa, scaldarle e servire con patatine lessate o purè, marmellata o passata di lingon (mirtilli rossi). Che a me non piace tanto, per cui non ce la metto, però ci andrebbe.

mercoledì 11 marzo 2009

Polpettomania: Avgolémono

Sono polpettomane.
La polpetta è per me irresistibile.
La nobile schiatta delle polpette si divide in due grandi categorie: le polpette crude e le polpette di avanzi. Poi ci sono le polpette asciutte e le polpette al sugo, e qua la faccenda si complica e si ramifica.
Nella mia famiglia, l'arte della polpetta di avanzi (leggi polpette di lesso, categoria "asciutte") ha raggiunto vette di eccellenza. Mia mamma mette immediatamente su il lesso quando mio fratello si degna di avvertire in anticipo del suo arrivo in città, per avere l'avanzo da polpettare. Io questa cosa un po' la invidio, confesso.
Il lesso non è un piatto da single. Va da sé che nel mio menage non è previsto assolutamente, come il roast beef; e la mia polpetta preferita non la mangio pressoché mai.
Quindi per forza di cose io mi dedico all'arte solitaria della polpetta cruda, la quale ha comunque una sua nobiltà.
Così mi sono venute fuori queste polpettine che mi sono piaciute davvero un sacco (sapete che sono di gusti semplici).
Avevo in mente la salsa avgolémono che faccio per i dolmades (involtini greci di foglie di vite con carne e riso), e volevo delle polpette che non facessero rabbrividire il mio dietologo, una volta tanto. Mi pareva che vitello, spinacio e avgolémono andassero a nozze, e non sbagliavo.
Quindi questo è un piatto di cucina fusion, wow.

Ecco a voi (dosi come sempre per uno buzzicone, o due sobri e ascetici):
polpettine agvolemono
  • 200 gr vitello macinato
  • un pugno di spinaci lessati e sgocciolati
  • 1 limone non trattato
  • burro
  • olio
  • timo
  • farina
  • sale
  • pepe
  • brodo leggero di carne o 1/2 dado
per la salsa:
  • il succo del limone
  • 1 uovo
Lavorare gli spinaci cotti, strizzati e tritati con la carne e un pizzico di timo, sale, pepe e una grattata abbondante di buccia di limone. Formare le polpettine, infarinarle e dorarle in olio e burro, aggiungere brodo abbondante. Abbassare il fuoco e cuocere un quarto d'ora.
Nel frattempo montare l'albume a neve, sbattere il tuorlo con il limone e incorporare delicatamente l'albume.
Quando le polpette sono cotte, e il fondo di cottura ancora abbondante, aggiungere alla salsa d'uovo un paio di cucchiai d'acqua, e poi un mestolino del fondo di cottura delle polpette. Versare nella padella il composto e mescolare bene per un minuto o due, tenendo la fiamma bassissima, perché si scaldi e si mescoli con il fondo formando una salsa leggermente spumosa.
Io ho servito con riso integrale. Ovviamente un Basmati, un Thai o un Gange sono molto meglio.

P.S. Mi sono accorta adesso che ieri era il secondo compleanno di questo blog. E che il primo post, guarda caso, parlava di...

venerdì 6 marzo 2009

All we need

Approfitto di una pausa nel muro d'acqua per inforcare il cavallo d'acciaio e correre ad approvvigionarmi. Dura la vita del motorinista. Ho il consueto aspetto elegante e ben curato che contraddistingue la mia mise da Slunga: pantalonacci di velluto a coste con tasconi, stivalamento da trincea, pettinatura da casco, borse da sbarco. All'uscita sono carica come un mulo di ogni bendiddio e, come si addice a una signora, fischietto "All You Need Is Love". Mi viene incontro sul marciapiede una creatura delle savane, una regina namibiana inguainata in un piumino color argento incrostato di specchietti, cosce poderosissime, fronte altera, sguardo ultraterreno. Senza perdere un colpo mi sussurra: "Ooooh, yeah!" .
E poi dicono che fare la spesa è una faccenda da massaie.

mercoledì 18 febbraio 2009

Variazioni sul finocchio

I finocchi mi hanno salvato la vita in questo miserabile inverno dietetico. Però ero davvero stufa di rosicchiarli crudi (per quanto, alle tre del mattino, in preda agli attacchi di fame, benedetto sia il rosicchiare).
Ho recuperato stasera una ricetta che un tempo facevo spesso, e poiché è un accostamento di sapori inusuale e molto azzeccato, ve la passo. Magari scrivendone mi viene anche voglia di mangiarli, chissà. Che veramente, ma proprio veramente, al momento mi farei una pizza.
Finocchi allo zafferano
  • 2 grossi finocchi
  • 20o gr polpa di pomodoro
  • 1 cipolla bionda
  • 1 spicchio d'aglio
  • 2 cucchiai d'olio extravergine
  • 1 bustina di zafferano (se avete i pistilli, meglio)
  • un pezzetto di buccia di limone
  • 1/2 bicchiere di vino bianco
  • sale e pepe
Affettare la cipolla a velo, sbucciare e schiacciare l'aglio. Farli appassire dolcemente in una padella con l'olio, unire la polpa di pomodoro. Salare, pepare e cuocere una decina di minuti. Nel frattempo dividere in 8 spicchi i finocchi e sbianchirli in acqua salata (o nel micro, dico io).
Aggiungere al sugo lo zafferano, la scorza di limone a filettini e il vino bianco. Quando riprende il bollore aggiungere i finocchi, coprire e far andare a fuoco dolcissimo per una ventina di minuti. Controllare il sale. Servire tiepidi.
La ricetta è di Annalisa Barbagli "La cucina di casa" del Gambero Rosso. Libro che non smetterò mai di consigliare. La foto è orrenda, sembrano dimenticati da una settimana fuori dal frigo, ma questo dice solo che le foto rispecchiano lo stato di chi le scatta, c'è poco da fare. Dio, cosa non farei per una pizza. Margherita, con tanto fiordilatte, cornicione basso e bruciaticcio.

lunedì 9 febbraio 2009

Arturo, lo spremilimoni del futuro

Avevo sentito parlare di Arturo* da una amica qualche tempo fa, ed è immediatamente diventato un oggetto del desiderio. Pare che la dimostrazione nei mercati di paese riesca a radunare folle che neanche l'apparizione di Paris Hilton in mutande.
Ma se la metropoli in cui abito mi fornisce praticamente qualsiasi ingrediente del globo, dal lemongrass fresco alla carne di bufalo, non è ahimè una piazza inserita nei circuiti commerciali di Arturo. Quindi mi ero rassegnata a bramarlo e guardarlo via Youtube.



Fino a stamattina.
Perché stamattina è arrivata la postina e mi ha consegnato una bustina contenente... ebbene sì.
Grazie a questo mirabolante e inatteso regalo oggi mi sento realizzata, come essere umano e come massaia. Corro a comprare una caterva di limoni.

*Se qualcuno non se ne fosse accorto, il nome presenta altissimi riferimenti letterari. E non credo che siano involontari. "L'isola di Arturo" di Elsa Morante infatti, ovvero Procida, è la patria dei limoni più buoni dell'universo.

venerdì 30 gennaio 2009

Il riso iraniano di accompagnamento


Era da tanto che volevo raccontarvi questa ricetta che mi accompagna da vent'anni. Lo faccio ora che non posso mangiarla. Per ricordare una vacanza memorabile, e la prima persona che mi ha aperto il mondo della cucina mediorientale, che poi è diventata una delle mie preferite. Quella persiana in particolare.
Quell'anno feci una cosa che adesso non rifarei neanche sotto tortura: mi imbarcai al buio, per una vacanza nelle isole Ionie su un charter a vela. Ero sola, era il 28 di luglio, non sapevo che fare, amavo la vela, c'era ancora un posto a bordo. Via.
La faccenda si rivelò subito degna di un film di Mel Brooks.
L'equipaggio era assolutamente male assortito: 14 individui che non avevano niente in comune - non l'età, non la provenienza, non i gusti, niente di niente. La maggior parte dei quali erano relitti del disadattamento sociale (le persone normali non si infilano in una vacanza di quel genere). Ricordo un alcolista sessantenne che non si lavava da almeno sei mesi; una maestra romagnola in pensione; un farmacista in viaggio di nozze con la sua moglie-bambina, identico al Furio di Carlo Verdone; una coppia di venditori di automobili gay di Giakarta, entrambi enormi russatori e dotati di una insana passione per gli scherzi. Tutti stipati su una barca in ferro di 30 metri che, come mossa preliminare, ruppe il motore nottetempo in mezzo alla traversata da Bari a Corfù. Tanto per chiarire subito cosa ci aspettava. Nessuno, salvo lo skipper, io e un paio di altri disperati aveva la minima esperienza di vela. 30 metri di barca sono tanti, per chi non lo sapesse, da muovere a sola vela in un paese molto ventoso, manovre in porto comprese. Spesso, quando scendevamo a terra, la folla che si era radunata in banchina a guardare ci applaudiva e ci offriva cicchetti, per dire.

La prima sera la passammo discutendo forsennatamente su quale fosse la miglior parmigiana di melanzane possibile. Per non venire alle mani, si passò ai fatti: tre squadre, tre versioni di parmigiana vennero prontamente allestite per chiudere la questione. Avevamo trovato la chiave, e questo ci salvò.
Chi va in barca sa che non è semplicissimo friggere melanzane di bolina. E neppure fare le frittelle di mele per merenda, e tutto il resto che facemmo e che è inenarrabile, e forse anche un po' vergognoso. No, senza il forse: si parlava di cibo, si scendeva a terra per comprare cibo, si elaborava cibo. La barca, di dotazione spartanissima, aveva però una cella frigorifera degna di un ristorante. In mezzo all'Egeo, sotto le sferzate del Meltemi, da sottocoperta si alzavano colonne di vapore odoroso di agnello, zaffate di fritto, sbuffi di farina e si intrecciavano ululati: "Due mani di terzaroli! Dov'è lo zafferano?! Cazzare la randa! Controllare il forno! Aperitiiiivo!"
Lo skipper, Farzin, era un ragazzo iraniano non solo bravissimo, rilassato, saggio e spiritoso, ma anche ottimo cuoco. Devo a lui un sacco di scoperte in cucina, e una estate bellissima.

Questo tortino di riso è un po' come il pane: serve per accompagnare tutti i piatti di carne con abbondante salsa, gli stufati e le verdure in umido. È semplice, bello e squisito, e quando ci avete preso la mano si fa a occhi chiusi.

Ingredienti:
  • riso Basmati o Patna o Thaibonnet, e comunque riso a chicco lungo e stretto, non parboiled. Non ci provate con i risi italiani amidacei, non sono adatti.
  • acqua
  • olio o burro
  • qualche seme di cardamomo
  • una padella (io uso le antiaderenti) con il coperchio esattamente della misura giusta
  • un tovagliolo immacolato
Per prima cosa preparo il coperchio, legando il tovagliolo in modo che resti ben teso sotto.

Il riso si misura a volume, non a peso. Per ogni misura di riso (diciamo un bicchiere) ce ne vogliono due e mezzo circa di acqua.
Quindi decido quanti bicchieri di riso voglio cucinare, lo metto a bagno e poi lo sciacquo a lungo in un colino finché l'acqua non esce pulita.
Poi misuro i relativi bicchieri di acqua e li metto nella padella.
La padella deve essere piena per circa due terzi, quindi sceglietene una della grandezza giusta relativamente alle vostre quantità.

Aggiungo un pezzetto di burro o un goccio d'olio, poco sale e i semi di cardamomo leggermente schiacciati con la lama di un coltello (non se uso il riso thai, che è già profumato di suo), e quando bolle verso il riso. Lo mescolo ogni tanto delicatamente, e lo lascio cuocere finché non ha assorbito la maggior parte dell'acqua, ovvero fino a quando si vede il riso, ma non più l'acqua.

A quel punto non lo tocco più, abbasso il fuoco al minimo (ma proprio al minimo) e metto il coperchio ben calcato.
Mi verso un bicchiere di vino e faccio altro, ma vigilo. Ogni tanto sposto un po' la padella. Il coperchio non va più aperto fino a quando il tortino è cotto, ma come si fa a saperlo senza dargli un'occhiatina?
Mi bagno la punta di un dito e sfioro il fianco della padella, verso il bordo superiore: quando sfrigola, vuol dire che la crosticina si è formata, e il tortino è pronto. Parola della mamma di Farzin. Non oso immaginare la sensibilità della punta del suo dito indice, dopo quarant'anni di riso quotidiano.


lunedì 26 gennaio 2009

Chunjie a Chinatown

Sabato ho fatto la turista per casa con un gruppo di Gastronomadi. Capitanati dall'intrepido Chef Kumalé, sono venuti fin dalla remota Torino ad esplorare la chinatown milanese e la sua offerta alimentare, in occasione della vigilia del capodanno cinese. Che poi sarebbe la festa della primavera. A proposito: buon anno del bue a tutti. Prosperità attraverso il duro lavoro, pazienza e perseveranza. Potrebbe essere peggio, su.
Devo dire che è stato molto interessante e divertente l'esplorazione guidata in un territorio arcinoto. Ho scoperto delle cose che avevo sotto il naso da sempre, senza averle mai viste - che era esattamente quello che speravo succedesse. Ho riscoperto un negozio che mi ero dimenticata esistesse, e che nel frattempo è diventato bellissimo (tanto bello che dentro ci abbiamo incrociato Gualtiero Marchesi in missione. Chissà cosa cercava, e soprattutto chissà cos'ha trovato di buono? Comunque l'ho toccato fisicamente, e la mia cucina è sicuramente migliorata, lo sento). Ho finalmente in agenda due ristoranti dove posso andare, se mi viene la voglia di un cinese come si deve. Ho sentito millanta storie e assorbito una mole impressionante di informazioni sulla cucina cinese, che ovviamente la mia mente da paramecio riterrà in proporzione infinitesimale. Ma non importa: salteranno fuori al momento del bisogno. La preparazione di Chef Kumalé è davvero monumentale. Entrare in un food market dove ero stata cento volte, con lui diventa una esperienza universitaria. Ogni spezia, ogni barattolino indecifrabile, ogni ortaggio misterioso, ogni attrezzo ha avuto la sua storia e la sua spiegazione: e la cucina cinese è notevolmente ricca e complessa. Se penso a questa competenza moltiplicata per le cucine del globo terracqueo mi viene quasi paura, tenendo conto che non ha mica novant'anni, quell'uomo.

(qui allo scalco di uno stinco di maiale)

A proposito di storie: lo sapevate che esiste il Dio della cucina? È una divinità che sta sul focolare, dove si svolge la parte fondamentale della vita familiare, e per tutto l'anno tiene d'occhio la famiglia. In questo giorno, la statuina viene bruciata e vola in cielo a riferire ai superiori com'è andato l'anno in quella casa: chi si è comportato bene, chi male, se ci sono guai, punizioni e premi da elargire. Insomma, una specie di portinaio impiccione e un po' delatore... Allora, per ingraziarselo, gli si offrono alcolici perché sia confuso, e dolci glutinosi perché abbia la bocca impastata e difficoltà a parlare.
Sorvolando sul fatto increscioso che ho dovuto assistere al pranzo della truppa senza poter assaggiare neanche un bocconcino di un menu che sembrava luculliano (prova durissima), e sul gelo polare che ci mordeva i nasi, è stata proprio una esperienza bella e nutriente. Ho anche assistito a un fatto criminoso! Scippo in diretta, con fuga a piedi di tre ragazzotti cinesi lungo la Paolo Sarpi, inseguiti solo dal derubato che invano urlava "fermateli!" nell'indifferenza e nella assoluta connivenza della popolazione (io cinese, non capile cosa dile uomo allabbiato).
Alla fine del giro ero talmente presa da tutta la faccenda, che dopo aver salutato i compagni di avventura ci ho messo mezz'ora a ricordarmi dove avevo parcheggiato il motorino.
Una annotazione: rispetto a come era due mesi fa, Chinatown appare ora, dopo la pedonalizzazione, assolutamente spettrale. Niente carrellini, è vero, niente casino, ma niente italiani. Il milanese ci mette un paio d'anni a riprendersi dal trauma di non poter parcheggiare il suv in terza fila e fare shopping con agio.
Con mio grande dispiacere, il reportage fotografico manca del tutto: per strada, data l'arietta tesa che c'è dopo gli scontri dell'anno scorso, i negozianti cinesi ti scacciano in malo modo se tiri fuori la macchina; e al ristorante, la mia mano tremava (forse per la fame) e le foto sono venute tutte mosse. Impubblicabili. Pazienza.
Voglio assolutamente andare a Torino a fare il tour di Porta Palazzo.

giovedì 22 gennaio 2009

Cicoli. Ovvero: dei bei tempi

Anche i cicoli, come il soffritto, sono cibo dell'amore e della nostalgia. La nostalgia è una strana bestia: si distingue dal rimpianto perché è sentire la mancanza di qualcosa che però non rivorresti indietro. Non così com'era, almeno. E io questa nostalgia continuo a sentirla nonostante gli anni. Anche se ormai fa parte della routine delle mie mancanze quotidiane, colpisce duro lo stesso, non si stempera, non diventa più sopportabile.
Comunque, la nostalgia non è l'unico motivo per commuoversi davanti ai cicoli. Ci si commuove anche per via della squisitezza assoluta di questo prodotto del maiale del tutto sconosciuto e introvabile qua al Nord. Ahimè.
Grasso puro, intervallato da sottili venature di ciccia rosea e morbidissima. Non so come siano fatti. A vederli, sembrano composti con tutto ciò che avanza dalle parti grasse del porcello dopo che è stato trasformato in altri più nobili preparazioni. Gli sfridi insomma, i ritagli, previamente cotti non so come e poi pressati a mattonelle. Hanno un vago e soave sentore di affumicato, o di arrostito, e non sono salati. Infatti il sale - grosso, che si sentano i granelli sotto i denti - va aggiunto poi, e fa parte del piacere.
Mi raccontano che la morte dei cicoli è il panino delle maestranze detto anche panino del muratore: rosetta, cicoli, ricotta fresca, sale. E, avendolo provato, devo dire che è forse il panino più buono che sia mai stato appaninato al mondo, o almeno in gran parte del mondo civilizzato. Io lo preferisco puro, senza ricotta. L'attitudine partenopea alla ridondanza a volte produce risultati eccezionali a tavola, ma non in questo caso: la ricotta a mio parere mal si accorda con il grassissimo dei cicoli. Soprattutto se alla rosetta è stata data una scaldatina, così che il grasso del maiale possa intridere il pane senza ostacoli. Ma chi sono io per discutere con le maestranze?

Dall'abisso di privazioni in cui mi trovo, per oggi è tutto.

mercoledì 14 gennaio 2009

Miracolo a Milano?

Punto di vista: una finestra del terzo piano.
Set: esterno, mezzogiorno. La panchina di un giardinetto pubblico, in una zona elegante della città. Molta neve che ricopre ogni cosa (e sta ancora nevicando fitto).
Azione: un uomo con giacca a vento e cappuccio arriva a piedi. Si avvicina alla panchina. Si inginocchia nella neve. Estrae un pacchetto, lo poggia sulla panchina, davanti a sé. Lo apre: nell'involto c'è una aragosta. L'uomo la mangia con calma, con le mani. Poi si alza, raccoglie i resti e la carta, li butta in un cestino, e se ne va.

Restano tutte le domande.

(Visto realmente il giorno della grande nevicata del 6 gennaio da una persona che mi ha chiamata per raccontarmelo).

domenica 4 gennaio 2009

Zuppa forte o Soffritto (CPI)*

Ho qua alcuni arretrati di questi giorni, che esito a pubblicare perché tempo fa, in un afflato di penitenza, ho commesso l'errore fatale di dare l'indirizzo del blog al mio dietologo - che è circa come aver consegnato alla mamma la chiave del proprio diario personale, a tredici anni. Quindi ho qualche ritegno. Ma o apro un altro blog fittizio che faccio aggiornare alla me stessa virtuosa, o procedo, e sia quel che sia.
Quindi, sia quel che sia.
Il Soffritto è un peccato capitale. Esso è un cibo terronissimo, che mi fu presentato a Napoli qualche anno fa. In quell'occasione, mi furono rivelati anche i Cicoli. Per entrambi ho concepito una passione che riesco raramente a soddisfare, perché la Zuppa forte (o Soffritto) è uno di quei piatti che non ci si mette a cucinare, almeno per quanto mi riguarda. La lista degli ingredienti, anche senza passare all'azione, è stomachevole e terrificante, oltre che foriera di sensi di colpa. Si compra bell'e fatto, dunque, ed è reperibile solo in Campania. Quindi bisogna avere degli amici che, con sprezzo del pericolo, lo facciano transitare attraverso le frontiere Padane. Ed io, che sono fortunata, ce li ho.
Esso si presenta, all'atto dell'acquisto, come un blocco semisolido di magma marrone, dal quale emergono lapilli di materiali brunastri e biancastri.

Poi lo si mette in pentola con dell'acqua e avviene il miracolo dello scioglimento (San Gennaro docet). Si serve con del pane cafone vecchiotto o biscottato spezzettato sul fondo del piatto, e ci si versa sopra la mappazza bollente.

il Soffritto è paradisiaco: saporito e piccante, ma anche incredibilmente dolce e vellutato. Viene voglia di mangiarne a dismisura, ma attenzione perché è un *CPI (Cibo a Pentimento Immediato): dopo pochi minuti dall'ingestione, esso sferra al vostro organismo un attacco di pesantezza micidiale, pervadendolo interamente e facendovi temere che non ve ne libererete mai più. Poi finisce tutto bene, ma la sensazione di essere in preda a qualcosa che vi occupa è molto forte, e non tutti riescono a sopportarla.
La ricetta, che metto solo a titolo di documentazione perché solo la Mamma Napoletana ha veramente il coraggio di cucinarla, è riportata dal libro di Jeanne Carola Francesconi, musa dei fornelli partenopei. L'ultima versione che mi è pervenuta, però, era fatta con una salsa di peperoni, mistero che vorrei mi fosse chiarito. O forse no.
  • 1,800 kg di frattaglie di maiale (polmone, trachea, cuore e milza) -
  • 200 g di concentrato di pomodoro più 30 g di conserva oppure 300 g di solo concentrato
  • 1 foglia di alloro
  • 1 rametto di rosmarino
  • 1 pezzetto di peperoncino forte
  • 1 cucchiaio tav. di olio
  • 100 g di strutto
Lavate le frattaglie, tagliatele a piccoli pezzi e tenetele per un paio d'ore in acqua fresca - che cambierete ogni tanto - fino a che appaia priva di sangue.
Sgocciolate allora e asciugate accuratamente tutti pezzetti di carne.
In una pentola capace e larga di fondo, fate riscaldare lo strutto e l'olio e poi unitevi il soffritto che farete rosolare a fuoco vivace.
Quando non vi sarà più traccia di liquido e la carne sarà leggermente colorita, aggiungete il vino che lascerete evaporare, e poi la conserva (diluita in una tazzina d'acqua calda), il concentrato, il lauro, il rosmarino e il peperoncino.
Abbassate il fuoco, lasciate cuocere per 4 o 5 minuti e infine, versatevi qualche bicchiere d'acqua.
La cottura deve durare un paio d'ore.
Il sugo non dovrà essere troppo denso e quindi aggiungete, se necessario, altra acqua, alla fine verificate il sale.