Vivo ancora di rendita sulla memoria dei giorni ferraresi, ormai resi mitici dalla bruma del ricordo e avvolti dal fascino del desiderio proibito (sono ancora a dieta: ciò che ho ingurgitato in quei due giorni mi è costato dieci giorni extra di punizione). Scrivere oggi del mio primo, fulminante incontro con le tigelle - oggi che per cena mi toccano petto di pollo e broccoli - è quindi una cosa di alto valore eroico, che spero apprezziate. Una prova del distacco dalle cose terrene che ci si guadagna con una alimentazione sana nella qualità e nella quantità, quindi del tutto priva di gioia e sensualità. Una ascesi che potrebbe anche favorire in me il germogliare tardivo di una parvenza di vita spirituale e magari persino della santità. Un giorno, chissà. Non oggi. Oggi sono tormentata da visioni di tigelle calde farcite con pancetta coppata all'aglio, lardo, squaquerone.
Sognate con me.
Sognate una cucina in cui da tutto il giorno pentole di ragù, patate, zucca e altre delizie sobbollono sul fuoco, saturando l'ambiente di vapori balsamici. Una atmosfera raccolta, in cui tre cuocastri avviluppati in grembiuloni uguali si affaccendano silenziosamente, in raccolta armonia. Una cucina dove benefici microorganismi albergano a causa delle regolari panificazioni. Fuori dal balcone (dove io credo di aver passato la maggior parte del tempi a fumare, ora che ci penso), un tramonto dolcemente autunnale, cosparso di vaghe nuvolette. Prosecco che scorre a fiumi. Una cucina, quindi, dove non manca nulla.
Nemmeno la tigelliera.
Tigelle
- circa chilo di farina OO
- circa 4 cucchiai di strutto
- un cubetto di lievito di birra fresco
- circa due cucchiaini di sale
- un cucchiaino di zucchero (facoltativo)
- acqua tiepidina q.b.
Accompagnamento: salumi preferiti e formaggi freschi
Sciogliere il lievito sul fondo di una ampia ciotola in poca acqua appena tiepida insieme allo zucchero. Aggiungere ancora acqua e poi la farina setacciata. Cominciare ad impastare, aggiungendo il sale e acqua finché la massa sarà diventata soffice ed elastica. Mettere a lievitare spolverata di farina.In teoria, dopo un paio d'ore o tre sarà raddoppiata. A quel punto spianarla con un matterello allo spessore di circa 1/2 cm, ricavarne dei dischetti con un coppapasta (della stessa misura della tigelliera, of course), rimettere a lievitare ancora un po' e cuocerli nella tigelliera precedentemente arroventata. Si servono calde farcite con i salumi. Questa la prassi abituale.
Ma noi, dopo tre ore, abbiamo improvvisamente deciso che invece si andava fuori a cena.
E qua scatta il miglioramento. Vorrai mica buttar via il lavoro. Abbiamo ripreso la pasta, fatto un folding, e l'abbiamo sbattuta in frigo. Al nostro ritorno l'abbiamo controllata, e nonostante il freddo era talmente viva che strabordava dalla ciotola. L'abbiamo ripresa ancora, e rimessa a nanna sperando si calmasse.
La mattina dopo era ancora vivacissima, anzi proprio esuberante. Terzo round, e rimessa in frigo. Alla quarta ripresa, nel tardo pomeriggio, la pasta aveva raggiunto un livello di elasticità e tonicità favolosi.
Io il pane lo faccio sempre, e una pasta così bella raramente mi è cresciuta tra le mani. Mi ci sarei potuta fare un vestitino stretch. Ha prodotto delle tigelle perfette, morbide e profumate, che si aprivano in due da sole.
Ci ho pensato: secondo me, oltre al lungo tempo di lievitazione e ai folding (che già fanno la differenza), la presenza in cucina di microorganismi favorevoli, unita alla presenza pressoché continua di vapori caldi di pentole in ebollizione hanno creato un ambiente superfavorevole alla maturazione dell'impasto.
E anche alla maturazione della felicità.