venerdì 1 ottobre 2010

Caplàzz alla riscossa

Più vado avanti, e più mi dirigo verso la cucina tradizionale. Italiana, etnica, va bene tutto, mi interessa tutto. Mi importa però che una ricetta sia quella che dev'essere. Ci ha messo decenni, a volte secoli per diventare se stessa. C'è una ragione perché si fa così e non altrimenti.
Sopraffatti dalla ormai pressoché infinita possibilità di scelte, mi pare che in questi anni si sia molto esagerato, e spesso perso la bussola. Troviamo buoni, o accettabili, miscugli di sapori che spesso non lo sono affatto. Perché siamo viziati, perché bisogna fare sempre qualcosa di nuovo, se no non ci si sente abbastanza creativi.
Perché mai rivisitare e contaminare ricette che sono perfette così come sono? Cosa mi dà di più lo zenzero nel risotto alla milanese? Che bisogno c'è del tè matcha sparso a cucchiaiate in ogni dove? Be', sì, è vero: qualche volta, ibridando, si hanno piacevoli sorprese. Si mette in memoria così un accostamento imprevisto, che migliora quello a cui si è abituati ed entra in repertorio con diritto. È il progresso, babe. Ma è raro. 

In questo periodo ho la nausea da creatività obbligatoria. Esattamente così come ho la nausea da foto di cibo pretenziose, alla fine tutte uguali, con il fiocchetto, la polpetta impilata, il bicchierino con dentro dalla polenta al risotto, cibo incastrato a forza in contenitori improbabili: tazzine, posacenere, vasi da fiori, pitali, tutto purché non sia - orrore! - un piatto,  e sempre rigorosamente guarnito e infiocchettato. Cosa che non fa la qualità. Ma sembra. Infatti piacciono.
A me invece non piacciono.
Non è che sia un discorso nuovo, per carità.
Comunque, la mia personale vendetta passa oggi attraverso la più tradizionale delle tradizioni. 

Caplàzz


Il Caplàzz è la tradizione ferrarese. Il Caplàzz è perfetto così com'è.
Per fare i Cappellacci ci vuole la zucca violina*. La zucca violina può essere buona, o se si è sfortunati può essere sciocca, e allora non c'è verso: il cappellaccio non perdona. Poi bisogna saper tirare la sfoglia a mano, che in fondo non è così impossibile, ma ci vuole l'asse grande e il matterello lungo. E ci vuole la mano santa di chi ha visto la mamma, la nonna, la zia farli. Sabato scorso, nel Ferrarese, ho avuto la fortuna di stare in cucina con qualcuno che chi li sapeva fare proprio bene. Ho avuto anche altre fortune (è stato un fine settimana decisamente fortunato), ma di queste riferirò in seguito.


* in foto, la zucca violina opportunamente evidenziata 

Si cuoce al forno la zucca violina a fette, o a tocchi, con la buccia. Deve rimanere il più asciutta possibile.
Si elimina la buccia si spiaccica la polpa, e si aggiungono parmigiano reggiano e noce moscata. Niente sale.
Si tira una sfoglia (classica: circa un etto di farina per un uovo). La si tira non troppo sottile. Per le dosi: con sei uova di sfoglia, io ricavo 140 cappellacci. La zucca non l'ho pesata, quindi non saprei dire.
La si taglia a quadrati e poi ci si sbriga, perché se si fa passare troppo tempo la sfoglia "s'infrustlis", cioè si asciuga e non si riesce più a chiuderla bene. Ci si poggia sopra mucchietti di ripieno, poi si chiude a triangoli e la si piega così:


Vi ho fatto addirittura un pregevole filmato:


Si condisce con un ragù. Normale. Soffritto di sedano, carota, cipolla; parti circa uguali di macinato di maiale e di manzo, e un po' meno di salsiccia. Sfumatina di vino bianco. Poco pomodoro. Alloro. (indispensabile). Il ragù si tiene un po' più salato del normale, perché la zucca del ripieno è dolce, e il contrasto è il suo bello.

Ecco, non è per fare apologia tradizionalista, ma certe cose vanno bene come sono, e basta. Questa è una. Lasciamola così. Spero che nessun massacratore di ricette, televisivo o non, ne venga a conoscenza e ne faccia scempio. Il giorno che vedo il Caplàzz rivisitato, mi incazzo sul serio.

11 commenti:

Duck ha detto...

Ne ho mangiato un piattone esagerato in una bella trattoria proprio su quella piazza, a Ferrara, che ha al centro la statua del caro vecchio Savonarola (me la sono sognata?, mi pare di no, ma io quando viaggio sono un disastro e non ricordo un tubo).
L'accostamento zucca/ragoût dapprincipio, sulla carta, mi ha lasciata perplessa. La prima forchettata ha fatto di me una neofita entusiasta.
Quanto al discorso creatività/tradizione/innovazione/scempio, che dire? Tendenzialmente ti do ragione al 100%, ma nel segreto della mia cucina, a volte, temo si consumino orrendi delitti. Che tengo per me, sia detto a mia parziale discolpa.
Un abbraccio

Esmé ha detto...

Sì. Lo so. Il mio post conteneva anche nome e cognome di una delle abominevoli cuocastre che personalmente sterminerei - e che so tu invece adori. L'ho tolto per un sussulto di delicatezza.
Ma come al solito ho esagerato. Presa dall'entusiasmo per il Cappellaccio, mi sono lanciata un po' oltre.
Anch'io faccio cose abominevoli (a dire il vero non tanto: casomai le faccio male, ma questa è un'altra storia). Qualche volta sono anche buone. Insomma, il mangiare quotidiano contempla accostamenti estemporanei, e a volte va più che bene così.
Però, insomma, io mi esprimo male, ma voi cercate di capirmi. Non sono una tradizionalista assatanata. Solo, più cucino e più mi rendo conto di dove sta la qualità e dove la fuffa. E procedendo, vedo che la tradizione - di qualunque posto sia - ha le sue ragioni, e spesso la qualità, quella vera, abita lì.
È anche vero che non sono una sperimentalista entusiasta. Forse non sono abbastanza annoiata di palato. O forse sto invecchiando, e vado verso l'essenziale. Non so.
Magari è una fase. Comunque tu fai le torte, e sulle torte io non ho niente da dire: ne so fare una sola!

LaStè ha detto...

Come darti torto....

LaStè ha detto...

fondamentale non attendere troppo tra sfoglia e chiusura del cappellaccio, altrimenti la sfoglia "s'infrustlis"!!

Esmé ha detto...

Ecco come si diceva!

maruzzella ha detto...

Bel post. Concordo su tutto, ma spezzo una lancia a favore della sperimentazione. Che non è mettere insieme quello che ci viene in testa a caso, scimmiottando le ultime tendenze in voga. Significa prima di tutto verificare se le nostre intuizioni sono valide, e lavorarci sopra procedendo per piccoli scarti progressivi, con i piedi ben ancorati alla tradizione, che ci dà le fondamenta per qualunque percorso innovativo.

lise.charmel ha detto...

leggendo questo post mi sono commossa. adoro la zucca violina e mi stupisco che non abbia ancora un monumento, visto che è buonissima. il vicino di casa di mia madre gliene regalava sempre un sacco, poi hanno litigato e ora niente zucca ahimé :(
i cappellacci van bene così come sono, non hanno bisogno d'altro che di gente che vada in pellegrinaggio a ferrara a mangiarseli. personalmente sono anche una grande estimatrice del tortello mantovano con l'amaretto, fatto dalle manine sante di mia zia, grande cuoca della tradizione, ma pure sperimentatrice.
per quanto riguarda le foto, a parte che ho riso molto, ho pensato a quanto devono piacerti allora le mie, scattate direttamente dalla padella :)

Esmé ha detto...

Mara: in effetti è un post un po' sbilanciato. Tu hai saputo dire meglio, con il giusto equilibrio.

Lise: adoro le foto dalla padella. Di solito il vapore impedisce di decifrare bene il contenuto... :-)
La mia formazione è mantovana. Il tortello con l'amaretto, la mostarda etc era pane quotidiano della mia infanzia. Io però li trovo troppo dolci, ho preferito questi, più puliti e sobri.
Mi dicono che i ferraresi sostengono (surrettiziamente, suppongo) che i mantovani mettono l'amaretto etc per confondere le idee quando la zucca non è buona...

Fabio ha detto...

proverò la versione ferrarese. Non ho la zucca violina, ma ho delle ottime zucche mantovane, di Ostiglia, dalla polpa molto "fissa".
Per quanto riguarda i tortelli alla zucca mantovani, la ricetta cambia in base alla zona: fondamentalmente si differenziano per la presenza o meno di amaretti e/o mostarda. Sono molto meno "facili" come gusto, e si servono con un sugo di pomodoro con soffritto.

PS temo che andrò di Imperia+Raviolamp... perdono

Anonimo ha detto...

Lo ammetto, ho tradito la ricetta classica. :-( niente ragù.

Molto burro leggermente salato e una MONTAGNA di tartufo.
Ha il suo perché.

Afro

Esmé ha detto...

Afro, il tartufo ha il suo perché anche se te lo metti direttamente sulla lingua, come l'ostia benedetta.
Cosa che grazie a te ho potuto fare svariate volte, in queste due settimane. Grazie. Sono ancora tartufata inside, e mi sento benissimo.