domenica 18 novembre 2007

I cachi sono imprescindibili



Nella mia casa n° 2, nella metropoli, c'era un giardino. Tutto nostro. C'erano tre fichi neri e un fico bianco, due tigli immensi davanti e uno immenso dietro, la pergola con l'uva fragola, una Forsizia, le ortensie, un ciliegio da fiore, svariati altri arbusti ornamentali e non. E poi un po' di orto urbano, naturalmente. E c'era un caco.
Il caco è un albero che mi sta molto simpatico. Ha una bella forma, e poi a novembre, quando il mondo si spoglia e tutto ormai sembra perduto, lui matura questi meravigliosi (e mega-vogliosi) lampioncini arancioni.
Si vede che il nostro caco era particolarmente segnaletico, perché era la base operativa di raccolta degli storni. Una mattina grigia di svegliavi, e loro erano lì, a centinaia, strillando e spintonandosi sui rami per accomodarsi tutti. Un casino bestiale. Si sbeccacciavano tutti i cachi, li assaggiavano uno per uno con estrema maleducazione e li facevano cadere producendo per terra una poltiglia viscida impossibile da rimuovere, con gran gioia di mia mamma; poi, belli rimpinzati, migravano. Noi mangiavamo i pochi che avevamo previdentemente tirato giù prima e messi a maturare in cantina, in previsione del raduno aviario.

Ieri sera, verso le otto, nel freddo e nel gelo, passavo in motorino davanti alla Slunga. Consapevole di non avere derrate in casa per la cena, mi son decisa a derogare alla mia ferrea regola di non fare mai la spesa di sabato, e ho compiuto l'eroico sacrificio.
La prima cosa che c'era in mostra erano delle vaschette di cachi maturi. Da sei pezzi. Proprio lì, accanto all'ingresso. Una vaschetta da sei cachi, quando hai il casco in una mano e il cestino della spesa nell'altra non è esattamente un oggetto maneggevole. Se li metti in fondo al cestino, come prima cosa, e poi ci aggiungi sopra tutto il bendiddio che comprerai, alla cassa ci arrivi con la poltiglia viscida di cui sopra. Ma io ai primi cachi non resisto. Per cui imbraccio la mia vaschetta tenendola in mano e arranco lungo le corsie, con il cesto via via più pieno e pericolante, spettinandomi e sudando e sgomitando e spintonando. La mia meta era il banco del pollo arrosto, perché (e che nessuno si permetta di commentare) avevo voglia di quel meraviglioso galletto ormonato e gommoso al glutammato - e proprio di quello - per cena.
Apro praticamente col naso lo sportello dei polli pronti, quando sento echeggiare il mio nome alle mie spalle.
Paralisi.
Mollo il pollo della vergogna, mi giro e vedo una mia ex collega. La più gnocca dell'agenzia dove lavoravo più di vent'anni fa, per la cronaca. Colei che mi subentrò quando venni mollata dal moroso di quei tempi. Lei giocava a tennis, era bravissima sul lavoro e molto prestigiosa, oltre che alta e boccoluta. So da voci che in questi anni ha avuto un grande successo nella carriera, si è sposata con uno ricco e fico e anche simpatico, eccetera eccetera.
La guardo: radiosa. Perfetta. Magra. Ben vestita. Tiene con il mignolo un pacchettino argentato della salumeria che, lo so, contiene giusto un tre etti di San Daniele e un cicinìn di cocktail di scampi. Il resto lo ha caricato sul suv il filippino. E cazzo, mi ha riconosciuta!
Le tendo un gomito, consapevole della mia mano destra grondante cachi, della mia pettinatura da casco, del mio abbigliamento che è uno sciantoso mix tra lo stile Pony Express e il New Caritas.
Mi guarda a lungo e mi dice che mi trova benissimo (!), poi aggiunge: "Certo, i cachi sono imprescindibili". E veleggia verso il reparto cosmetici.
Resto là a riflettere un momento su questa verità cosmica. Alla fine posso solo addivenire al fatto che sono d'accordo con lei, anche se brucio ancora di vergogna. L'onestà morale sopra a tutto.
Recupero il pollo e carico tutto sul motorino, i cachi bene in cima, e corro verso il mio prossimo appuntamento: missione recupero di una vaschetta di fermenti da Kefir vivi provenienti da Istambul, contrabbandati da una amica per un'altra amica. Farò loro solo da balia, ma è un compito di responsabilità che mi onora.
Prossimamente su questi schermi, se sopravvivono.

(Nella foto il più intero dei cachi che è arrivato in casa)

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Se il pollo arrosto lo chiami kotopulo diventa un cibo esotico e può tenere testa al pacchetto di prodotti salumeria/Gucci.
Quanto ai cachi hai mai fatto il gioco di rompere sotto i dentini i semi per vedere quale posatina ci trovi dentro? Se è forchetta il tuo amore ti ama, se è cucchiaio fai i soldi, se è coltello sparlano di te.
Quanto infine all'albero dei cachi è bellissimo sembra un albero di natale naturale. Pardon ho detto Natale, ma io vivo in un presepe quindi vedo Natali ovunque.

Anonimo ha detto...

Strano frutto il caco (è poi un frutto?). L'ho amato e desiderato da piccolo, qaundo abitavo nelle desolate lande nordiche, dove costavano un occhio, per poi snobbarlo in Italia, dove ho una pianta che ne produce un tre quintali di ottima qualità.
IL polletto di 36 giorni allo spiedo è un must, lo preferiamo accompagnato da patatine prefritte al forno. L'avanzo poi da un ottima insalata di pollo. Con la maionese, s'intende. E con i polletti ruspanti di mammà nel freezer a far la muffa o la brina che sia.
besos
F

Esmé ha detto...

Non lo so se è un frutto. Direi di sì, c'ha dentro i semi, come dice Anna, con le posatine a sorpresa. Che non ho mai visto, cosa mi sono persa...
Niente storni da te?

Molto d'accordo sull'insalata dell'avanzo: il petto poi è secchino, lo lascio sempre lì dopo aver fatto scempio di ali e cosce bruciacchiate e grassocce. Io ci metto emmenthal, cetriolini e molta maionese.

LaStè ha detto...

La parte incredibile è che la figa boreale compri i cosmetici all'Slunga.
Tutti i cachi del mondo, mangiabili, maturano in cantina.

Anonimo ha detto...

mio papà il caco me lo preparava così
toglieva il picciolone a un caco ben maturo e nella conchetta ci versava zucchero e cognac ,lo bruciava(che emozione la fiammella ) e poi me lo dava in un piattino
chissà la gnoccona lo dice al suo analista da trecento beuri al colpo ,che lei un caco così se lo sogna dalla fase orale
zaino esme per la spesa a due ruote(io bici) lo zaino con le cinghie lunghe così che poggi all'occorrenza sul portapacchi

Esmé ha detto...

Il mio papà mi sbucciava i chicchi d'uva uno per uno, poi li spaccava a metà e toglieva i semini. Così la mangiavo, l'uva.
Meno male che non ho cognac in casa, se no davo fuoco al caco.

Anonimo ha detto...

Il caco da me si mangia così: accuratamente spellato, alla bisogna per il caco allappante, irrorato con un poco di zucchero e poi montato a neve, anzi: montato a caco, con dell'ottimo Marsala.
Viene una spuma sublime, che ha il vantaggio di eliminare il viscidello dell'imprescindibile frutto.
Ma tanto tu non hai il Marsala nella tua onorata casa, lo schifi, vero?
Dunque niente mousse cacozabaglionata.

Io alla strafi avrei detto che coi cachi mi ci dovevo fare una maschera , ma come, non lo sai? è così ricco in antiossidanti.

Saluti, la mamma adottiva dei kefirini.

Esmé ha detto...

mi piace nelle scaloppine. Nella roba dolce no.
Ah, che cosa complicata, la vita!

Vi sta troppo antipatica, la strafi. Invece è simpatica una che dice una cosa così, no?

Anonimo ha detto...

E' vero, dire una cosa così rende simpatici. Il fatto di essere una strafi, un po' meno.
Comunque per onestà morale, o per moralità onesta (che mi rende una molesta orale), convengo che il caco è imprescindibile anche a casa mia. E' un dessert pronto, molto più buono di quelle creme finte da banco frigo. L'albero (qui da noi detto 'legnasanta') è bellissimo: tutta la campagna - quella che resta, ormai soffocata dall'avanzata dell'orrido architettonico industriale - adesso è riscaldata da queste vampe improvvise, che assomigliano a fuochi fatui all'incontrario, caldi e diurni.
Se ti trovassi a Napoli e volessi comprarne, evita, ti prego, il termine 'caco' e usa il più esotico cachìss.

Esmé ha detto...

legnasanta, che bello. Indecisa da sempre sul mio albero preferito, propongo che nel nostro giardino ci sia il cachìss per novembre, e il fico per agosto. Retsano scoperte altre due stagioni, si accettano desiderata.

Terrò presente la preziosa indicazione lessicale. Ho già fatto scompisciare, inorridire e altre reazioni varie i mercati locali, con il mio linguaggio e comportamento inadeguati.

Anonimo ha detto...

Gli alberi del nostro giardino: sì alla legnasanta, al fico (ora e sempre sì) al limone, all'arancio, al noce (va bene per il sabba rituale, ma anche per il nocino). Anche il melograno è bello. E un'albizia, perchè ha un ombrello fatto apposta per accogliere sotto di sè un tavolaccio di legno e i suoi fiori sono morbidi piumini rosati.
Quant'è grande 'sto giardino?

Esmé ha detto...

È piccolo, ma allo stesso tempo anche grande quanto basta per farci stare tutto quello che ci sembra necessario. Per esempio, non credo portei stare senza una pergola di uva fragola e una di glicine. E un fico d'India. Adesso vado a vedere cos'è l'albizia.