sabato 31 marzo 2007

Pane e pigrizia

Non ho pane in casa. Pur di non affrontare l'impervio compito di vestirmi in modo presentabile e scendere a comprarlo, quasi quasi me lo faccio. Si potrebbe opinare sull'economia dello sforzo: impastare, lievitare, reimpastare, mettere in forma, rilievitare, cuocere, un sacco di lavoro rispetto a mettersi qualcosa addosso e fare i 98 passi che mi separano dal panettiere (meno, se prendo l'ascensore).
Ognuno ha le sue forme di pigrizia estrema, tutte rispettabilissime. Io sarei disposta a quasi tutto pur di non mettermi calze e scarpe. In estate, infatti, resisto meno all'idea di abbandonare la tana.
Poi inizio a pensare alla cena, e mi rendo conto che ho una gran voglia di pollo al curry. E il pollo al curry va con il riso, il pane non mi serve.
Quindi, va a finire così: che faccio il pane di ramerino, perché ormai ho deciso che si panifica, e s'ha da panificà. E lo porto domani dalla Mamma, che così poi fa ooooh! e dice che sono brava.
Perfetto.
A questo punto, mi rendo conto che ho finito le sigarette.
Calze, scarpe, e 104 passi per il tabaccaio non me li leva nessuno.
Non ho capito se mi sento un po' pirla, o mi diverto alle mie spalle, o tutti e due.



PAN DI RAMERINO:

La ricetta è frutto di una collaborazione con due amiche esperte panificatrici e toscane, che ringrazio sentitamente. Per essere solo la terza volta che la faccio, ne sono soddisfattissima.

500 gr farina 0
2 cucchiaini di lievito di birra disidratato
1 cucchiaio di zucchero
2 cucchiaini di sale
4 cucchiai d'olio extravergine
qualche cucchiaio di latte
acqua
rosmarino fresco
tot uvetta (circa 80/100 grammi?)

Sciolgo il lievito e lo zucchero un pochissimo latte intiepidito.
Spezzetto abbbondante rosmarino con le mani in un pentolino con l'olio, e lo scaldo brevemente sul fuoco bassissimo (non soffritto, scaldato). Il rosmarino esprime al massimo il suo aroma, così.
Setaccio in un ciotolone la farina con il sale, verso il lievito e acqua tiepida quanta ce ne vuole per ottenere un impasto un po' appiccicoso, l'olio e il rosmarino, e lavoro. Quando la farina avrà assorbito i liquidi, comincio a impastare energicamente sul piano di lavoro fino a che la pasta sarà liscia e setosa.
Metto a lievitare in un posto non freddo, coperto da un foglio di plastica (in genere infilo la ciotola in un sacchetto grande lasciandolo un po' aperto, e schiaffo tutto nel forno. Spento, of course). Dopo un paio d'ore (anche tre, dipende da tante cose), incorporo l'uvetta ammollata e strizzata bene, e rilavoro brevemente la pasta, facendo attenzione a non spiaccicare i chicchi..
La divido in 10 pezzi, faccio delle palline, incido la superficie con una croce e metto a rilievitare un'altra mezz'ora sulla teglia (o di più, dipende dalle stesse tante cose di prima) coprendo con un telo.
Quando i panini si sono gonfiati, ungo il cocuzzolo con l'olio al rosmarino di prima, zucchero un pochino e inforno a 180° per circa 20 minuti/mezz'ora.

I 180° sono reali, ovvero misurati con un termometro da forno. Non quelli del termostato, che non dice mai la verità.

venerdì 30 marzo 2007

cena schfizzera

sIeri sera mi sono goduta una fondue moitié moitié, accompagnata da pane bigio. Finalmente una cena coerente, cominciavo a vergognarmi. Si dà fondo alle scorte engadinesi di farine e formaggi. Addio all'inverno (curioso: con un certo rimpianto, chi l'avrebbe mai detto).
Della fonduta mi piace tutto: il fatto che per mangiarla bisogna essere in due, che c'è niente da cucinare e tanto da paciugare, l'odore che fa, il fatto che ci si beva sopra vino bianco, il mangiare con le mani e l'impossibilità di farlo compostamente; e non ultimo, il poter usare il rechaud che mi sono regalata quando ho messo su casa. Mi parve indispensabile nel corredo di una giovane donna in progress. Dimenticai le forchettine, allora: sono arrivate in novembre. Adesso ne ho tre: e due amiche in più.

La cosa veramente notevole è che stamattina, al peso, segnavo mezzo chilo di meno. Mistero.

domenica 25 marzo 2007

primavera

mi sono alzata alle tre, che è assurdo anche per me, ho i bioritmi sconquassati, addirittura non avevo né fame (!) né voglia di cucinarmi, stasera. E' finita con degli involtini di asparagi e feta fatti su nella pancetta, e un avanzo di coniglio in salsa con riso basmati di ieri. Oddio: sempre meglio della pizza telefonica.

Il mio cuore, che non si è formato in città, soffre acutamente per la mancanza di prati, in questa stagione. Prati che so pieni di asparagi selvatici, di striduli, di radicchi, di erbette buone da mettere in pentola. Sento anche grave mancanza di orto da seminare.
Che ci faccio, qui?

sabato 24 marzo 2007

delirio quantitativo2

ovvero: le mezze penne.
Orbene, in 80 grammi di mezze penne Voiello, ho accertato che ci sono 110 penne. Alla prova empirica, in un boccone medio ce ne vanno 3 (è anche vero che le ho fatte con i gamberetti e gli asparagi, che fanno massa). Comunque, circa 36 bocconi. Non c'è gara, con lo spaghetto, che con un terzo delle arrotolate era già andato.

Non ho niente di meglio da fare? Pare di no.

mercoledì 21 marzo 2007

Spesa

Non so se raccontarlo o no. Un po' di vergogna la sento. Potreste non prendermi più sul serio, poi. Ma desidero io essere presa proprio sul serio? Maddai!
Racconto la mia spesa di oggi.
Pomeriggio libero e bel sole primaverile, esco in motorino con l'idea di fare scorta di un certo Trebbiano Chardonnay a basso costo (ma alto rendimento) avvistato in un supermercato al 40% di sconto. Pezzente? Assolutamente sì, ma il mio budget di sopravvivenza esclude di meglio per il consumo quotidiano, al momento. E poi è il vino ideale per la donna vanesia e superficiale che sono, praticamente gazzosa. Come sempre, quando entro al super, le mie capacità di valutazione della realtà subiscono un brusco calo, e mi carico due cartoni da sei, più quattro bottiglie sciolte nel bauletto e due nello zaino. Con un retropensiero di rimpianto, ma più di così è fisicamente impossibile. Mentre mi arrabatto a bilanciare il carico sul motorino, il questuante-residente davanti all'ingresso mi guarda con un briciolo di superiorità e rinuncia a chiedermi le monetine. Quasi quasi, riconosciuta la compagna di etilismo, gli verrebbe da passarmi il cartone del Tavernello che ha in mano. Glissons.
Marcio pericolante verso casa, passo impunita davanti a un controllo di autopattuglia, scarico, e in cortile vengo còlta da un raptus della massaia taccagna: tre cartoni sono proprio pochi, a quel prezzo poi... potrei andare a prenderne altri tre, così sono a posto per la primavera. Rimonto in moto e vado a ispezionare un'altra sede del medesimo supermercato, più vicina a casa. Delusione: là il mio vino è esaurito. Smadonno. A questo punto mi prende l'accanimento. Sgommo verso a una terza sede (lontanuccia), dove però il bottino è magro: reperisco solo 4 bottiglie, e per consolarmi prendo anche due pacchetti di patatine. Una persona sana di mente, la finirebbe qua. Ma non io: in uno slancio di titanico attivismo, torno di corsa al primo super, dove ricordo di aver lasciato ancora qualche cartone negli scaffali. Miei! Sarei stata disposta a contenderli a ombrellate, a quel punto, se qualche vecchina avesse osato rivendicare qualche forma di precedenza.
Riparto verso casa domandandomi perché non mi prendo un'Ape (pickup), invece del motorino.
Totale supermercati visitati: 4. Articoli acquistati: un solo codice ripetuto N volte. Vorrei essere chi rileva i dati della mia Fidaty card, oggi.

lunedì 19 marzo 2007

Delirio quantitativo

Stasera spaghetti con pomodorini e pesto e frittata di friarielli. Un altro menu sano e di nessun interesse. Inizio perciò uno studio ozioso, per quale contributi esterni sarebbero preziosi.
Una amica, poco tempo fa, ha aperto il dibattito in altra sede, ed io sono ancora qua che mi arrovello (il che la dice lunga sulla mia attività intellettuale).
Trattasi di stabilire la capacità saziante dei diversi formati di pasta. Esistono varie teorie, la più accreditata delle quali sostiene che la l'indice di sazietà aumenta proporzionalmente alla quantità di acqua che la pasta è in grado di assorbire in cottura. Più acqua, più peso, più sazietà, a parità di calorie.
La tesi che mi propongo di dimostrare è invece che il potere saziante dipende anche dalla attività masticatoria. Il cervello, ho letto da qualche parte, registra infatti tra gli altri parametri anche l'attività masticatoria, e quando questa raggiunge la quota stimata per un pasto caloricamente soddisfacente, il cervello fa partire il segnale di sazietà.
Quindi, a mio parere l'indice saziante ha a che fare col numero di bocconi: 80 grammi di pastina (che scivola giù liscia per l'esofago) sazieranno meno di 80 grammi di rigatoni (che richiedono una intensa attività trituratoria). Per dimostrare la tesi, non resta che effettuare i seguenti calcoli:
1) contare quanti pezzi costituiscono 80 grammi di pasta (razione standard)*
2) contare quanti pezzi costituiscono un boccone medio
3) dividere il numero dei pezzi x razione per il numero di pezzi x boccone, ottenendo il numero di bocconi x razione,
Più il risultato sarà alto, maggiore sarà l'indice di sazietà.
Ordunque, in attesa spasmodica che arrivi il momento di buttare la pasta e procedere con l'esperimento, vi informo che in 80 grammi di spaghetti Voiello Riserva n.104 vi sono esattamente 100 pezzi. Tra poco vi relazionerò su quanti bocconi ne risulteranno.
(La cena si annuncia impegnativa).

22.30
Prima fase eseguita con successo. In un arrotolo medio ci stanno comodi 8 spaghetti. Ne risultano 12,5 bocconi. Non li ho contati tutti per verifica finale, perché stavo guardando una puntata di ER particolarmente ricca di suspense e particolari raccapriccianti, ma direi che ci siamo.
Ora, senza commenti sulla follia della cosa, procederemo applicando la stessa rigorosa metodologia ad altri formati di pasta.
Per favore, non segnalatemi per il trattamento pshichiatrico obbligatorio prima del termine della ricerca. E' per il bene dell'umanità.

*per quanto mi riguarda, se il mio metabolismo fosse quello di una volta, per 80 grammi di pasta non mi scomoderei neanche a mettere su l'acqua, ma pare che sia la dose massima consentita ad uso personale, e non mi metto a discutere su ciò.

domenica 18 marzo 2007

Polpette

h 19
Sì, polpette, ecco cosa ci vuole. Una domenica a lavoricchiare svogliatamente, scoglionata quanto basta ma senza trascendere nel cattivo umore vero e proprio, che però so sempre in agguato al calare della sera. Urge rimedio: un atto di presenza in cucina, impegnarsi il minimo indispensabile a procurarsi una cena decente capace di scongiurare eventuale malinconia. Niente compulsazioni di ricette, non oggi; salto la parte della stimolazione mentale anticipatoria, di solito gran parte del piacere. Ma non ho voglia né forze, oggi. Quindi: polpette. Polpette casual, senza pretese, onestissime polpette fatte con quello che c'è, e già che ho il forno acceso con dentro dei panini (altrettanto modesti, un avanzo di farina rustica svizzera, acqua, lievito e via, quel che viene viene), le impano senza neanche l'uovo e provo a cuocerle così. Mal che vada, saranno asciuttine, ma sempre polpette restano. Allegria assicurata. Peccato, niente vino, ma il piano di moderazione impone coerenza. Bisogna assolutamente che mi riabitui a considerare il vino a tavola una presenza episodica e non scontata, o divento una botte - e sono già vicinissima al limite del mio peso- botte, ammettiamolo. Quando sono una botte, sono profondamente infelice.

h 23
E ho fatto bene. Le polpette erano perfettamente soddisfacenti, piccine, cicciotte e croccanti, le ho mangiate con una insalata di pomodorini, dopo un antipasto di puntarelle condite come si deve. Il pane? Parliamone.
Mistero: perché mai la volta che schiaffo tutto in una ciotola a occhio, impasto malamente il sale insieme al lievito e tutto, lievitini e starter neanche a parlarne, non faccio caso a tempi e temperature della lievitazione e della cottura, me me sbatto delle ricette, il pane viene buonissimo? Stasera son riusciti dei nodini che avevo già fallito le due volte che mi ci ero messa ricetta alla mano, dicendo a me stessa: facciamo le cose perbene.
Una ipotesi: che non seguire uno schema preciso induca ad attivare la sensibilità. Non distratta dalle istruzioni, uso di più i sensi: il tatto mi dice quando ho impastato abbastanza, la vista quando la lievitazione è giusta, l'olfatto segnala la cottura.
O magari, più prosaicamente, culo.
La maggior parte delle volte che cucino così, con questo livello di pretesa e niente di più, va a finire che ceno come un pascià.

Felicità di non avere famiglia, nessuno a cui render conto di cosa, quando, quanto; porzioni per uno, sempre qualcosa di buono in dispensa, e tutto il tempo e la calma e l'agio di seguire solo ed esclusivamente le mie voglie e i miei capricci.
Tristezza di non avere nessuno che divide con me l'ora di cena, le cose buone, i piaceri; che eventualmente consola e distrae in caso di dispiaceri. Niente sorrisi, grave mancanza.
Ed ecco perchè sono qua, credo.
Vediamo come va.