Più vado avanti, e più mi dirigo verso la cucina tradizionale. Italiana, etnica, va bene tutto, mi interessa tutto. Mi importa però che una ricetta sia quella che dev'essere. Ci ha messo decenni, a volte secoli per diventare se stessa. C'è una ragione perché si fa così e non altrimenti.
Sopraffatti dalla ormai pressoché infinita possibilità di scelte, mi pare che in questi anni si sia molto esagerato, e spesso perso la bussola. Troviamo buoni, o accettabili, miscugli di sapori che spesso non lo sono affatto. Perché siamo viziati, perché bisogna fare sempre qualcosa di nuovo, se no non ci si sente abbastanza creativi.
Perché mai rivisitare e contaminare ricette che sono perfette così come sono? Cosa mi dà di più lo zenzero nel risotto alla milanese? Che bisogno c'è del tè matcha sparso a cucchiaiate in ogni dove? Be', sì, è vero: qualche volta, ibridando, si hanno piacevoli sorprese. Si mette in memoria così un accostamento imprevisto, che migliora quello a cui si è abituati ed entra in repertorio con diritto. È il progresso, babe. Ma è raro.
In questo periodo ho la nausea da creatività obbligatoria. Esattamente così come ho la nausea da foto di cibo pretenziose, alla fine tutte uguali, con il fiocchetto, la polpetta impilata, il bicchierino con dentro dalla polenta al risotto, cibo incastrato a forza in contenitori improbabili: tazzine, posacenere, vasi da fiori, pitali, tutto purché non sia - orrore! - un piatto, e sempre rigorosamente guarnito e infiocchettato. Cosa che non fa la qualità. Ma sembra. Infatti piacciono.
A me invece non piacciono.
Non è che sia un discorso nuovo, per carità.
Comunque, la mia personale vendetta passa oggi attraverso la più tradizionale delle tradizioni.
Caplàzz
Il Caplàzz è la tradizione ferrarese. Il Caplàzz è perfetto così com'è.
Per fare i Cappellacci ci vuole la zucca violina*. La zucca violina può essere buona, o se si è sfortunati può essere sciocca, e allora non c'è verso: il cappellaccio non perdona. Poi bisogna saper tirare la sfoglia a mano, che in fondo non è così impossibile, ma ci vuole l'asse grande e il matterello lungo. E ci vuole la mano santa di chi ha visto la mamma, la nonna, la zia farli. Sabato scorso, nel Ferrarese, ho avuto la fortuna di stare in cucina con qualcuno che chi li sapeva fare proprio bene. Ho avuto anche altre fortune (è stato un fine settimana decisamente fortunato), ma di queste riferirò in seguito.
* in foto, la zucca violina opportunamente evidenziata
Si cuoce al forno la zucca violina a fette, o a tocchi, con la buccia. Deve rimanere il più asciutta possibile.
Si elimina la buccia si spiaccica la polpa, e si aggiungono parmigiano reggiano e noce moscata. Niente sale.
Si tira una sfoglia (classica: circa un etto di farina per un uovo). La si tira non troppo sottile. Per le dosi: con sei uova di sfoglia, io ricavo 140 cappellacci. La zucca non l'ho pesata, quindi non saprei dire.
La si taglia a quadrati e poi ci si sbriga, perché se si fa passare troppo tempo la sfoglia "s'infrustlis", cioè si asciuga e non si riesce più a chiuderla bene. Ci si poggia sopra mucchietti di ripieno, poi si chiude a triangoli e la si piega così:
Vi ho fatto addirittura un pregevole filmato:
Si condisce con un ragù. Normale. Soffritto di sedano, carota, cipolla; parti circa uguali di macinato di maiale e di manzo, e un po' meno di salsiccia. Sfumatina di vino bianco. Poco pomodoro. Alloro. (indispensabile). Il ragù si tiene un po' più salato del normale, perché la zucca del ripieno è dolce, e il contrasto è il suo bello.
Ecco, non è per fare apologia tradizionalista, ma certe cose vanno bene come sono, e basta. Questa è una. Lasciamola così. Spero che nessun massacratore di ricette, televisivo o non, ne venga a conoscenza e ne faccia scempio. Il giorno che vedo il Caplàzz rivisitato, mi incazzo sul serio.