Due settimane fa, con grande rilievo sui mezzi di comunicazione, è partita a Milano l'iniziativa sperimentale del farmer market presso il Consorzio Agrario di via Ripamonti, a cura di Coldiretti. Era ora! - ho pensato, e mi sono fiduciosamente presentata con la mia sportina.
Sono uscita inferocita.
Forse ho capito male io.
Io avevo capito che l'idea fosse quella di abbattere i prezzi dei generi alimentari di prima necessità - frutta e verdura in primis - saltando i troppo numerosi passaggi della filiera che, a detta di tutti, sono quelli che causano gli aumenti assurdi da qualche anno a questa parte. E risparmiare il costo del trasporto, presentando prodotti geograficamente vicini.
Che ingenuità.
Quello che ho trovato erano: un banchetto di miele (sopravviviamo benissimo senza); un banchetto di formaggi tipici lodigiani (belli e buoni, ma idem); un banchetto di salumi e carni; un banchetto di verdure scrause. Tutto pressoché esaurito alle 11.30. Tutto senza prezzi esposti: né i cartellini sulle merci, né un listino appeso da qualche parte. Bisognava chiedere, e si scopriva che i prezzi erano molto alti (più che nei mercati, più che nei supermercati, circa come incerti negozi cari). Ho visto un Parmigiano reggiano a 30 euro al chilo, per dire.
E già qui uno si imbestialisce.
L'ultimo banchetto era quello della Coldiretti, in gran spolvero, dove degli energumeni incravattati con la faccia da lobbisti (che poi è quello che sono) spiegava che se si vuole il formaggio buono e le patate di campo è ovvio che si pagano cari. Li avrei picchiati.
Aggiungo che il mercato, grazie al battage pubblicitario e anche alla scelta dell'orario (dalle 9 alle 13), era popolato da orde di pensionati in cerca della stessa cosa che cercavo io: verdura e frutta sana e a prezzi sostenibili.
Appariva evidentissimo che invece la faccenda era una biechissima operazione di facciata per tirar su l'immagine di Coldiretti.
Pensano che siamo tutti scemi?
Temo proprio di sì.
Ora, io non ho niente in contrario ai mercati bio, né trovo riprovevole che ci sia chi è disposto a pagare caro per avere alimentari di qualità, se se lo può permettere. Ma allora ditelo: e non prendeteci per il culatello!
Schiumando di rabbia me ne sono andata a fare la spesa al vicino mercato rionale del mercoledì di via Cermenate: con 5 euro ho comprato: un chilo di zucchine, un chilo di melanzane, un chilo di peperoni, un chilo di pomodori perini, un chilo di limoni. Già che c'ero, con altri 5 euro ho preso un paio di pantaloni cinesi di cotone, molto carini.
Mi riferiscono che mercoledì scorso (secondo appuntamento), il tiro era stato un po' aggiustato - evidentemente non ero stata l'unica a imbufalirsi - e si vedevano anche delle melanzane a 1 euro al chilo. Ciò mi dà delle speranze.
Io mercoledì ci torno.
Lo so che mi incazzerò di nuovo, però desidero fortemente che questa cosa funzioni, e che funzioni come si deve: se va deserta, la tolgono e via. Invece deve esistere, perché ce n'è un gran bisogno, e la devono piantare di trattarci come deficienti. Per cui andiamoci numerosi, e compriamo solo la roba che ha un giusto prezzo. Le rape deluxe se le mangino loro.
Oh.
lunedì 29 settembre 2008
mercoledì 17 settembre 2008
Gli ultimi fuochi
Ecco, è arrivato il tristissimo momento in cui gli alluci devono tornare alla prigionia dei calzini.
Il mercato sciorina la sua seduzione ingannevole, colorato come non mai delle verdure del sole; ma dietro ai mucchi di pomodori anche troppo maturi, di melanzane esplosive, di languide cipolle rosse, e nella dolcezza stanca dell'uva, si intravede già la mestizia delle castagne.
Il mio addio all'estate si chiama Escalivada.
Da quando l'ho incontrata, non c'è più cianfotta né ratatouille che tenga: l'escalivada è l'apoteosi delle verdure estive.
Riporto la ricetta originale, così come l'ha scritta sister Eleanors. È sua, è mia, è di Silvia e delle amiche fisicamente lontane, con le quali condivido la grande zuppiera in cui ci siamo felicemente incontrate e mescolate.
Il mercato sciorina la sua seduzione ingannevole, colorato come non mai delle verdure del sole; ma dietro ai mucchi di pomodori anche troppo maturi, di melanzane esplosive, di languide cipolle rosse, e nella dolcezza stanca dell'uva, si intravede già la mestizia delle castagne.
Il mio addio all'estate si chiama Escalivada.
Da quando l'ho incontrata, non c'è più cianfotta né ratatouille che tenga: l'escalivada è l'apoteosi delle verdure estive.
Riporto la ricetta originale, così come l'ha scritta sister Eleanors. È sua, è mia, è di Silvia e delle amiche fisicamente lontane, con le quali condivido la grande zuppiera in cui ci siamo felicemente incontrate e mescolate.
Escalivada
"L'escalivada è una sorta di ratatouille o di cianfotta catalana: ha il pregio, rispetto alla consorella provenzale, di rispettare le consistenze diverse delle verdure e rispetto alla consorella suditaliana, di essere più leggera, senza però perderne in sapore. Per me è un must estivo: è colorata, gustosa, profumata, versatile, leggera, anticipabile e si conserva per qualche giorno. Ottima come contorno a carni e pesci grigliati, squisita con la mozzarella di bufala (magari supportando il tutto con una bruschetta), interessante come condimento di riso pilaf o cuscus o bulghur... insomma fatene quel che volete!".
- melanzane
- peperoni
- zucchine
- cipolle
- pomodori
- patate
- aglio
- erbe aromatiche
- sale
- olio evo
Tagliare a metà, nel senso della lunghezza, tutte le verdure. Pulire (solo) i peperoni dai semi e filamenti. Spennellarle d'olio, salarle e porle, con la buccia verso l'alto, in una teglia unta sotto (distanza di cm 8, mas o meno) il grill del forno a 200°. Cuoceranno in tempi diversi: quindi controllare spesso, per "uscirle" man mano che saranno pronte. In genere i primi sono i pomodori, seguiti da melanzane, zucchine, peperoni, patate e cipolle (ma molto dipende dalle rispettive dimensioni). Appena estratte dal forno, mettere tutte le verdure, eccetto i pomodori, in uno stesso contenitore di vetro tappabile a fare la condensa per un'oretta. Mettere invece i pomodori in un altro contenitore con aglio, olio e le erbe scelte (io ci metto timo, basilico, origano e maggiorana; ci sta bene anche un po' di peperoncino). Passata l'oretta, pulire le verdure cotte: togliere la pelle, ormai bruciacchiata, dei peperoni, delle patate e delle melanzane, tagliare a queste e alle zucchine i piccioli, sfogliare la cipolla, eliminandone lo strato esterno. Ridurle tutte a dadini medi e unirle alla conza di pomodori. Mischiare bene*, semmai regolando di sale, tappare il contenitore e dimenticarlo in frigo per una giornata e anche più.
*nel recipiente di raffreddamento si sarà raccolta l'acqua di vegetazione mista alla condensa: dovrebbe essere eliminata, ma io l'aggiungo al condimento, perché per me è un brodo salino saporitissimo. De gustibus.
domenica 14 settembre 2008
mercoledì 10 settembre 2008
Fiori
Le piantine che avevo piazzato in cortile, occupando abusivamente dei vasi abbandonati dalla dipartita Signora Dina, mi hanno gratificata con del bei girasoli.
Con i fiori di zucca, invece, mi sono gratificata così:
Fiori di zucca ripieni allo zafferano
L'accostamento fiori di zucca e zafferano lo uso sempre per un'ottima pasta (se non sbaglio ricetta del Nonno). La salsiccia con lo zafferano ci sta proprio come a casa sua, come insegna un ragù sardo favoloso per i malloreddus (campidanese? non mi ricordo). È chiaro che ne va messa poca, e occhio al sale: si rischia di travolgere la delicatezza dei fiori con il sapore robusto del ripieno. L'ibridazione però prometteva bene.
Poi, sappiamo tutti che la morte dei fiori di zucca è impastellati e fritti, però devo dire che questi mi son piaciuti quasi altrettanto.
Avevamo lasciato un mezzo uovo in sospeso. Avanzava un cucchiaio di farcia dei fiori. Qua non si butta via nulla. Quindi ci ho aggiunto tre cucchiai di farina, una puntina di lievito istantaneo, e ho infornato in una cocottina. Ne è sortito a sorpresa il mini-tortino che vedete nella foto; una specie di scone giallo, morbidissimo e delizioso. Tra l'altro, incredibilmente, senza un filo di grassi.
Ora provo a rifarlo con dosi appropriate a uno stampo più capiente: era talmente buono che merita di diventare una ricetta.
Con i fiori di zucca, invece, mi sono gratificata così:
Fiori di zucca ripieni allo zafferano
- 12 fiori di zucca
- 200 gr ricotta
- 1 uovo
- 120 gr salsiccia
- 2 cucchiai parmigiano grattugiato
- 1 bustina di zafferano
- sale
- pepe
- noce moscata
L'accostamento fiori di zucca e zafferano lo uso sempre per un'ottima pasta (se non sbaglio ricetta del Nonno). La salsiccia con lo zafferano ci sta proprio come a casa sua, come insegna un ragù sardo favoloso per i malloreddus (campidanese? non mi ricordo). È chiaro che ne va messa poca, e occhio al sale: si rischia di travolgere la delicatezza dei fiori con il sapore robusto del ripieno. L'ibridazione però prometteva bene.
Poi, sappiamo tutti che la morte dei fiori di zucca è impastellati e fritti, però devo dire che questi mi son piaciuti quasi altrettanto.
Avevamo lasciato un mezzo uovo in sospeso. Avanzava un cucchiaio di farcia dei fiori. Qua non si butta via nulla. Quindi ci ho aggiunto tre cucchiai di farina, una puntina di lievito istantaneo, e ho infornato in una cocottina. Ne è sortito a sorpresa il mini-tortino che vedete nella foto; una specie di scone giallo, morbidissimo e delizioso. Tra l'altro, incredibilmente, senza un filo di grassi.
Ora provo a rifarlo con dosi appropriate a uno stampo più capiente: era talmente buono che merita di diventare una ricetta.
lunedì 8 settembre 2008
Compiti delle vacanze
Sono tornata. Il che certifica che ero anche partita, cosa niente affatto scontata.
Compiti delle vacanze: una meravigliosa cena a Cetara, di pesci e vino. L'alice marinata migliore della mia vita. Scoperta del prosecco campano (produzione insospettabile). Grazie Ele 'O Noyra, ricambiare sarà arduo.
Freselle (tema: "Cosa vedo dalla mia finestra") che mi hanno ricordato di cosa sa veramente il pomodoro. Scorpacciate. Datemi il mio pane e pomodoro quotidiano. E chi cucina più?
Tra le molte bellezze di questo paesino nel Cilento c'era quella che l'ortolano vendeva roba che arrivava palesemente dritta dalla campagna circostante. Ancora viva, insomma. Certe susine verdognole deliziose. Patate che sapevano di patata, e avevano - incredibile! - la consistenza della patata. Questi pomodorini dolci e profumatissimi. L'aglio profumato di aglio, senza sentori di muffe e irraggiamenti. Certe cipollone rosse succose che si potevano mangiare a morsi. E accidenti, se si sente la differenza. Altro capitolo: il pane. Marò. Che pane. E lo vogliamo fare un salto anche dal macellaio? Mi ha presentato una costata che faceva muuu!, che non sono riuscita a rovinare nemmeno schiaffandola sulla bistecchiera ridicola in dotazione alla casa. E tutto costava la metà (non scherzo: la metà esatta, a volte anche meno) di quello che ormai sono abituata a spendere per la spesa al mercato milanese.
E poi la zuppa di cannellini freschi (gli spollichini erano finiti, mannaggia); e le vongole buonissime.
Unico appunto: la mozzarella. Che fosse mozzarella, provola o fiordilatte, ovviamente era tre volte più buona di quella che mi rifilano qua, ma poesia zero. Incredibilmente, a due passi dalla zona di produzione più eccelsa dell'universo, qualcosa nella rete di distribuzione non funzionava come avrebbe dovuto.
Ovviamente, nella zona di produzione di un olio pregiatissimo, siamo riusciti a farci vendere morchia spacciata per extravergine bio. Pedaggio inevitabile del turista.
Come vedete sono stata brava: mi sono impegnata, ho fatto gli esercizi, ho assaggiato l'assaggiabile e goduto il godibile. Mi manca già tutto: sapori, odori, aria, acqua, mare, cielo. Silenzio. Stelle. Ce n'era tanto di tutto, e qua dove sto invece niente di niente.
Compiti delle vacanze: una meravigliosa cena a Cetara, di pesci e vino. L'alice marinata migliore della mia vita. Scoperta del prosecco campano (produzione insospettabile). Grazie Ele 'O Noyra, ricambiare sarà arduo.
Freselle (tema: "Cosa vedo dalla mia finestra") che mi hanno ricordato di cosa sa veramente il pomodoro. Scorpacciate. Datemi il mio pane e pomodoro quotidiano. E chi cucina più?
Tra le molte bellezze di questo paesino nel Cilento c'era quella che l'ortolano vendeva roba che arrivava palesemente dritta dalla campagna circostante. Ancora viva, insomma. Certe susine verdognole deliziose. Patate che sapevano di patata, e avevano - incredibile! - la consistenza della patata. Questi pomodorini dolci e profumatissimi. L'aglio profumato di aglio, senza sentori di muffe e irraggiamenti. Certe cipollone rosse succose che si potevano mangiare a morsi. E accidenti, se si sente la differenza. Altro capitolo: il pane. Marò. Che pane. E lo vogliamo fare un salto anche dal macellaio? Mi ha presentato una costata che faceva muuu!, che non sono riuscita a rovinare nemmeno schiaffandola sulla bistecchiera ridicola in dotazione alla casa. E tutto costava la metà (non scherzo: la metà esatta, a volte anche meno) di quello che ormai sono abituata a spendere per la spesa al mercato milanese.
E poi la zuppa di cannellini freschi (gli spollichini erano finiti, mannaggia); e le vongole buonissime.
Unico appunto: la mozzarella. Che fosse mozzarella, provola o fiordilatte, ovviamente era tre volte più buona di quella che mi rifilano qua, ma poesia zero. Incredibilmente, a due passi dalla zona di produzione più eccelsa dell'universo, qualcosa nella rete di distribuzione non funzionava come avrebbe dovuto.
Ovviamente, nella zona di produzione di un olio pregiatissimo, siamo riusciti a farci vendere morchia spacciata per extravergine bio. Pedaggio inevitabile del turista.
Come vedete sono stata brava: mi sono impegnata, ho fatto gli esercizi, ho assaggiato l'assaggiabile e goduto il godibile. Mi manca già tutto: sapori, odori, aria, acqua, mare, cielo. Silenzio. Stelle. Ce n'era tanto di tutto, e qua dove sto invece niente di niente.
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